Pensieri sparsi

Per sempre Madre

Dipinto di Antonella Sportelli

di GIOVANNA FERRO

Sei nato all’alba di una giornata di pioggia.
Due giorni prima avevamo festeggiato, col tuo papà, l’arrivo di un nuovo anno.
Tu scalpitavi, ti rigiravi nel mio pancione, forse per avvisarmi che da lì a poco saresti
arrivato a sconvolgerci meravigliosamente la vita.


Ricordo le prime notti con te in ospedale: sempre sveglio, con quegli occhietti vispi che si affacciavano al mondo con curiosità.
Tornammo a casa il giorno della Befana, mai regalo più bello avrei pensato che potessi
ricevere da quella buffa vecchina.
La tua cameretta pronta ad accoglierti, ma tu c’hai dormito solo molto, ma molto tempo
dopo.


Di notte ti guardavo dormire al mio fianco, sereno, ogni tanto accennavi un sorriso ed io
pensavo a se tu stessi sognando. Controllavo se respiravi, avevo il terrore che smettessi difarlo. Poi mi sono abituata a quel tuo sonno tranquillo e beato, dopo le tue ingorde poppate. Le giornata erano piene, tra pipì, cacche, cambio di pannolini, biberon e pisolini.

Che bella la nostra prima estate al mare. La tue sgambettate nell’acqua e quando qualche schizzo ti arrivava in viso piangevi disperato.
E poi il tuo primo Natale, il tuo sguardo incantato dalle luci del nostro albero, quante
palline finite spiaccicate a terra e la stanza riempita di giocattoli da nonni e zii.
Eccola, la tua prima candelina. Giornata piovosa, come il giorno in cui sei nato, ma dentro casa nostra c’era il sole, c’erano i colori dei tanti palloncini che riempivano la stanza. I parenti tutti a batterti le mani e ad invogliarti a spegnere la candelina. I tuoi occhioni si riempirono di lacrime e soffiai io al posto tuo. Ma fu bello lo stesso.


I tuoi primi passi. Non c’ero, ti ho visto attraverso un video, lasciavi la mano del tuo papà
e ti incamminavi impacciato e timoroso da solo. Ed io non c’ero, quanto mi è mancato quel momento, ero a combattere l’inizio di un grande battaglia.


Sono tornata, ci siamo ripresi la nostra vita: io al lavoro, tu all’asilo nido.
Sei stato bravo, un ometto giudizioso sin da piccolo. Quando venivo a prenderti, mi
vedevi arrivare e ti precipitavi, col tuo passo ancora incerto, a prendere lo zaino nel tuo
armadietto. Alzavi le braccia ed io ti accoglievo con gioia, come se non ci vedessimo da giorni. Ti sbaciucchiavo e tu ti aggrappavi al mio collo.


Amore mio, come vorrei tornare a quei giorni, quando tutto era così lontano e
inconsapevole.
Le tue prime recite, eri un piccolo scricciolo, i tuoi primi lavoretti, tutti conservati.
Delle poesie che ci recitavi, qualche parolina la saltavi, perchè più che recitarle ce le
cantilenavi. Per non parlare delle canzoncine, provavi sempre vergogna nel cantarle con gli altri.


Figlio mio, quanto mi hai fatto penare nel vederti sempre un po’ in disparte, timoroso,
diffidente nell’affrontare una nuova situazione.
Quante volte mi sono chiesta se tutto quello che mi stava accadendo avesse, in qualche
modo, condizionato il tuo carattere.
Ho cercato, seppur faticando, di darti tutta la serenità possibile e di infonderti sempre tanta positività. Spero che qualcosa ti sia arrivato.


Ti vedo nel tuo grembiulino nero e lo zaino, più grande di te, il tuo primo giorno di scuola. Ti abbiamo accompagnato io e papà.
Ti ha accolto una maestra che sorridendoti ti ha teso la mano, ma tu non volevi lasciare la mia. Ti ho incoraggiato ad andare con lei, anche se il mio cuore non avrebbe voluto.

Non si direbbe, timidone come sei, ma abbiamo sempre chiacchierato tanto io e te.
Mi chiedevi perchè stessi così male, perchè le mamme dei tuoi amici erano sempre con
loro ed io spesso ero lontana da te, per curarmi. Perchè? Non ho mai trovato una risposta convincente.


Quanto ti sei divertito ad indossare le mie parrucche? Le abbiamo sempre scelte insieme.
Ti rispondevo con un sorriso quando mi dicevi di non farmi vedere dai tuoi amici
imparruccata. Lo so che ti vergognavi, non me lo hai mai detto, ma ho rispettato i tuoi
sentimenti. Sei solo un bambino e avresti dovuto vivere di gioia.


Vita mia sei cresciuto troppo in fretta.
Quante litigate abbiamo fatto perchè ogni giorno dovevamo guardare sempre lo stesso
film della Disney? Non c’era verso di staccarti dalla tivù, recitavi ogni parola e cantavi tuttele canzoni. Testa dura!


Ricordi le nostre vacanze all’Isola d’Elba? Quanto ami quell’isola.
La prima volta avevi solo tre anni ed ogni estate ci siamo ritornati.
L’ho ribattezzata l’Isola della felicità, perchè lì eri il bambino più felice del mondo.
Assaporavi ogni attimo della giornata. Le tue paure, i tuoi perchè in quei luoghi sparivano, lasciando posto alla spensieratezza, ed io ero grata per questo.


Anche quest’estate ci siamo ritornati. Avevo già capito che quella sarebbe stata l’ultima,
ma volevo vederti felice. Ho trascorso dei giorni con te senza pensare al futuro, che per me non ci sarebbe mai stato. Ho fotografato nella mia mente ogni momento di quell’estate, non volevo perdermi neanche un attimo. La mia ultima drammatica felicità.
Ho lottato e tanto, per te. Ho perso, ma non ho perso te.


Sei ritornato a scuola, a giocare a calcio, alle feste con i tuoi amici del cuore, alla tua
normalità, fortunatamente, perchè così deve essere.
E’ il tuo papà la tua spalla ora e ,mi raccomando, non litigate come fate sempre.
Me ne sono andata con la disperazione nel cuore di doverti abbandonare, di non vederti
crescere, di non poter essere con te quando gioirai e quando piangerai.
Lo so che ti mancheranno i miei baci, i miei abbracci, le nostre discussioni sulla vita,
come le chiamavi tu, le nostre litigate, ma non ti mancherà il mio amore.


Qualsiasi cosa farai, io sarò con te. Stringerò la tua mano quando avrai paura. Ti
proteggerò dai pericoli e dalle cattiverie. Gioirò con te quando ti innamorerai per la prima volta. Sarò seduta al tuo fianco quando prenderai decisioni importanti.
Vivi amore mio e come ti ho sempre detto: “La vita è fatta di cose belle e di cose brutte.
Ne regala tante belle, ma dobbiamo accettare anche quelle brutte”.

Tu sei il regalo più bello che potessi ricevere, anche se per poco, ma il nostro amore NON è volato via con me.
Adorato bambino mio, io sarò la tua mamma per sempre!

Dedicato a te sorella cara.

Racconto pubblicato nell’antologia ” Madri allo specchio – riflessioni in prosa e versi” a cura di Culturalfemminile, edito da Gli scrittori della porta accanto, 2021

Link di acquisto: https://www.amazon.it/Madri-allo-specchio-Riflessioni-scrittori/dp/8833669564

Pensieri sparsi

OGNI VOLTA PRIMAVERA

Dipinto di Fernanda Freddo

OGNI VOLTA PRIMAVERA

di Giovanna Ferro

La sveglia suona alle sette in punto.

“Adesso, adesso” mormora Marcella che fatica ad aprire gli occhi.

La sua faccia riflessa allo specchio sembra portare i segni di una lunga notte di bagordi.

“Un caffè, mi ci vuole un caffè”.

La finestra della cucina, nella casa di Trastevere, si apre sul bellissimo e affollato lungotevere.

Sul davanzale le piantine di basilico e rosmarino, oggi emanano un profumo più intenso, fondendosi alla tiepida aria primaverile che investe Roma.

Mette su la moka e dà l’acqua alle piante.

Il borbottìo della caffettiera la fa trasalire, mette giù l’innaffiatoio e si gode la sua tazzina di caffè.

“Oh cavolo!” esclama guardando l’orologio “Devo sbrigarmi”

Marcella ha una piccola libreria, che si trova in uno dei vicoli che si aprono sulla piazza di S. Maria in Trastevere.

Vicoli che respirano storia, vicoli vissuti, descritti dalle parole del grande Trilussa: “Li panni stesi giocano cór vento
tutti felici d’asciugasse ar sole:
zinali, sottoveste, bavarole,
fasce, tovaje… Che sbandieramento!
[…]”.

E lì nella bottega, della zia Flora, dove una volta le signore del quartiere compravano stoffe e tessuti pregiati, ora c’è lei e i suoi libri.

Dopo la morte della zia, ha ereditato la casa e la bottega, così che dall’Abruzzo, rimasta ormai sola, Marcella si è trasferita a Roma.

Da piccola ci passava mesi interi in città e in quella bottega ore, a divertirsi con scampoli di stoffa a farne vestitini per le bambole.

“Marcella è arrivato il mio libro?” Il professor Astolfi, insegnante di greco in pensione, ogni mercoledì passa dalla sua libreria a comprare o a ordinare un libro.

“Professore, arriva domani. Se non vuole aspettare mercoledì, in serata glielo porto a casa”.

“No, preferisco passeggiare. Voglio godere di questo mite clima primaverile. A domani”.

Quando in libreria non ci sono clienti o inventari da fare, Marcella si immerge nella lettura, la sua passione, motivo per cui ha scelto di trasformare la bottega in libreria.

“ Dovunque mi fossi trovata, sul ponte di una nave o in un caffè di Parigi o a Bangkok, sarei stata sotto la stessa campana di vetro, a respirare la mia aria mefitica“ legge a voce alta, immersa nel libro di Sylvia Plath, La campana di vetro.

“Signorina Marcella!”

Come colta in flagrante, chiude il libro e si alza di scatto dalla sedia.

“Ti ho spaventata?”

“Sei tu!”

“E chi pensavi che fosse?” dice la sua amica Claudia “Volevo ricordarti di stasera, passo da te alle nove e non dirmi di no.”

E’ ora di chiusura.

La casa è il suo rifugio, dove ha portato ogni piccolo oggetto salvato dalla sua vecchia casa, anche il dolore, quello che non si tocca, ma che è sempre lì con lei.

Va sul balcone della camera da letto e si accomoda nella poltroncina, immersa tra piante pensili e rampicanti: si perde nei ricordi, ha in mano la foto dei suoi genitori, una leggera brezza le asciuga una lacrima.

E’ il 6 Aprile, da allora sono trascorse tante primavere e Marcella rinasce ogni volta.

Il rintocco delle campane del cupolone, che si scorge tra platani e qualche albero in fiore, al di là di Ponte Sisto, arriva fin lì.

Sono già le nove: il citofono suona, risuona.

“Si stancherà!” pensa divertita Marcella.

Giugno 2021, Tra Parole e Immagini

Pensieri sparsi

VITE NEGATE

Margherita Totori

VITE NEGATE di GIOVANNA FERRO

VITE NEGATE

Uomo, donna e bambino

è fratello il mio vicino,

spesso lo dimentichiamo

o ancor peggio lo neghiamo.

Tu che un giorno hai pensato

di lasciare il tuo passato,

e in quel mare attraversato

il tuo corpo vi hai lasciato.

Donna, amore tu hai cercato

e in un uomo lo hai trovato,

mai pensavi che il suo cuore

fosse pieno di livore.

Quel bambino che hai lasciato

mai sarà abbandonato,

cuore immensi e larghe braccia

segneranno la tua traccia.

Occhi chiari, occhi scuri

puoi guardarli: sono puri

di speranza, di tristezza

e chissà quanta amarezza.

Tu che eri un giorno fiero

di quel figlio, ora altero,

la saggezza dei tuoi anni

lo perdona senza affanni.

Cosa serve in questo mondo?

Forse amore, ma profondo.

Uguaglianza, fratellanza,

con costanza e tolleranza.

Opera visiva di Margherita Totori

Tema: I diritti umani, civili e sociali

#lartecheracconta#incontrotrapoesiaedipinto#giornatainternazionaledellapoesia

Contest L’arte che racconta, per Tra parole e Immagini

Pensieri sparsi

RICORDO IL MARE

Racconto di GIOVANNA FERRO

Come è profondo il mar... “ cantava Dalla.

La profondità del mare è proporzionale alla profondità dei sentimenti e delle emozioni presenti nei miei ricordi.

Il Mare che mi vide bambina.

La sveglia era alle sette del mattino.Che levataccia. A otto anni, dopo nove mesi trascorsi sui banchi di scuola, aspetti luglio e agosto per sonnecchiare, beatamente, tra le fresche lenzuola del lettino che ti accoglie. Invece no! Tocca alzarsi.

“Bisogna respirare l’aria salmastra, ricca di iodio, ne beneficerete tutto l’inverno” diceva mia madre. “Forza in piedi” gridava “Altrimenti arriveremo tardi e il nostro posto, vicino alla riva, sarà preso da altri”.

Appunto, il problema era quello: arrivare in spiaggia prima che tanta gente la affollasse. Malvolentieri, io e mio fratello, più piccolo di me di due anni, indossavamo il nostro costume, pantaloncini e maglietta, la mamma prendeva le sue borse cariche di asciugamani, creme e unguenti vari, e soprattutto… i panini e via di corsa al mare.

Già il panino… il suo sapore, chi lo dimentica.

Dopo aver sguazzato, nuotato e schizzato acqua fino ad avere le mani raggrinzite, la mamma ci aspettava sotto l’ombrellone e noi lì a ricevere in premio il nostro amato panino. Gustarlo fino all’ultimo boccone, seduti sulla sdraio a guardare il mare piatto, trasparente e il sole che lo accarezzava

Dolci ricordi che porterò sempre con me.

Il Mare che fu spettatore della prima delusione d’amore.

Avevo sedici anni e una sera di fine agosto avevamo organizzato con gli amici un falò sulla spiaggia e il bagno a mezzanotte.

Tra noi c’era un ragazzo che mi piacera, ma non riuscivo a capire se io piacessi a lui. Era gentile, carino con me, ma sfuggente. Avevo deciso che quella sera volevo capirne di più. Al tramonto eravamo tutti lì, seduti in riva al mare ad aspettare che il sole sparisse all’orizzonte.

Che calma si prova ad ammirare tanta bellezza. L’ultima calda luce del giorno che si cala nelle acque del mare, donandogli un arcobaleno di colori, l’unione di due forze che ferma il tempo.

Girai lo sguardo verso il ragazzo, cercando i suoi occhi, per condividere quel momento speciale: le sue braccia circondavano le spalle di una ragazza, ed io capii.

Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto: ti hanno inventato il mare “ cantai!

Aspettammo l’alba: la spiaggia deserta, il mare calmo, l’aria fresca del mattino, il giorno che nasce e l’estate che finisce.

Il Mare che sa essere crudele.

Quell’inverno era stato molto piovoso, avevo vent’ anni, e studiavo all’università. Lettere era la facoltà che avevo scelto e stavo preparando un esame.

Quella sera, seduta alla scrivania nella mia stanza, non riuscivo a concentrarmi.

Fuori c’era il diluvio, e guardando al di là della finestra, il mare sembrava impazzito, la forza potente con la quale infrangeva le sue onde sul porticciolo era spaventosa.

Il cielo, un manto nero schiarato solo da lampi e fulmini.

Piove senza rumore sul prato del mare… “ recita Pavese, ma quella sera il rumore si fece sentire, eccome si fece sentire, tanto da restare svegli tutta la notte.

Stampe artistiche di Peter Graham
Dipinto diPeter Graham

Al mattino dopo, la rabbia del mare si era placata, ma i danni non si contavano.

Il porto, le strade che lo raggiungevano erano un ammasso di fango e sassi.

Quanto dolore provocò a quei pescatori che videro le loro barche distrutte, la pesca, unica ricchezza dalla quale riuscivano a trarre sostentamento, quel giorno s’era fermata.

La gente di mare c’è abituata, i pescatori lo sanno benissimo. Partono prestissimo, col buio, e ritornano quando la città si sveglia. Si apprestano a solcare quel mare, nella speranza di tornare con il pescato. Si allontanano lentamente, silenziosi, con le loro barche, in quel mare che si unisce al nero del cielo, in cui si scorge solo il luccichìo delle lampare.

I pescatori li riconosci subito: la pelle del viso cotta dal sole, le mani grandi, gonfie, raggrinzite dall’acqua di mare. Uomini e mare una sola identità.

È durante la tempesta che conosciamo il navigatore.” canta Seneca.

I “navigatori” della mia città furono degli eroi, seppero rialzarsi e ricominciare, come hanno sempre fatto, e a dimenticare quella terribile notte di fine febbraio.

Il Mare che mi ha vista felice.

Avevo programmato quella vacanza dal mese di Aprile: una settimana a Capri con le mie amiche. Ai primi di Luglio si parte.

Il traghetto che ci portava all’isola impiegò quasi due ore per raggiungerla, ma il viaggio fu meraviglioso.

Lo scenario che si presentò ai nostri occhi era quasi irreale: la costiera amalfitana ricca di bellezze naturali, le sue scogliere a picco nel mare blu, che gli fanno da palcoscenico, le case una tavolozza di colori. Una visione mozzafiato, sembrava di essere in un dipinto di Peter Graham, nei suoi paesaggi marini.

Peter Graham ROI | Mall Galleries
Dipinto di Peter Graham

Eccola Punta Campanella, col suo faro e la torre, l’estrema propaggine della Penisola Sorrentina, che guardava l’isola di Capri.

La storia narra che la torre serviva per avvistare le navi dei pirati e una campanella, posta in cima ad essa, suonava l’allarme in caso di pericolo: da qui il nome.

Sentivo solo il rumore dei motori del traghetto e il mare che si apriva al suo passaggio.Onde altissime che raggiungevano le mani protese a toccarle.

Un mare azzurro, profondo, potente. Un mare immenso che non puoi recintare.

In lontananza apparvero i tre isolotti dell’arcipelago Li Galli, sui quali, secondo la mitologia, avevano vissuto le sirene dell’ Odissea: Partenope, Leucosia e Ligia. Si racconta che il loro canto magico ammaliasse i marinai causando il naufragio delle loro navi, schiantandosi sulle rocce degli isolotti. Ma Ulisse, come ci ricorda il mito, scampò al triste destino.

Eccoli, finalmente, i Faraglioni, i fari dell’isola di Capri. Li attraversammo, due masse potenti di roccia si ergevano su di noi. La grandiosità di quell’immagine lascia senza respiro.

Giungemmo al porto, prendemmo la funicolare che ci portava da Marina Grande su a Capri.

Era già sera quando arrivammo in albergo,il tempo di fare una doccia, mangiare, cambiarci e fare una passegiata nelle stradine affollate dell’isola.

Al mattino una colazione veloce e di corsa al mare.

Ci incamminammo per i vicoletti e le scale, che portavano giù a Marina Piccola, per raggiungere il mare. Il bianco delle case, il profumo dei gelsomini inarpicati sui muri, le cascate di bouganville che facevano da cornice alle stradine, le limonaie che emanavano il loro acre profumo, un sogno ed io lo stavo attraversando.

Finalmente in acqua. Ebbi la sensazione che quel mare mi stesse abbracciando. Lo lasciai fare, mi feci trasportare lontana. Chiusi gli occhi, ero in pace, ogni pensiero svanì e alzando lo sguardo un’immensa massa rocciosa mi fronteggiava impetuosa: era l’isola.

Le sensazioni che provai in quei giorni non mi abbandoneranno mai.

Capri non puoi vederla se non l’hai sognata prima. Solo così può apparirti ancora come il luogo mitico dove la natura incontra la bellezza.” Raffaele La Capria e come darti torto.

Mare, ora sono lontana, il lavoro mi trattiene, non ti respiro, ti sogno, ti vivo attraverso i ricordi, tante foto mi fanno compagnia quando la nebbia e la frenetica vita della città, che mi ha accolta, mi soffoca: ritornerò.

Il Mare: la mia sostanza, la mia casa.

Racconto pubblicato nell’antologia ” Storie di mare e orizzonti” a cura di Culturalfemminile, edito da Gli scrittori della porta accanto.

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Pensieri sparsi

LA NOTTE

di Giovanna Ferro

immagine dal web

Odio la notte,

mille pensieri

                       mi avvolgono,

                       ai miei perchè

                       non rispondono.

                       Odio la notte,

                       il suo silenzio

                       mi prende,

                       mi annienta

                       la mente.

                      Odio la notte,

                      nei miei ricordi

                      ogni certezza svanisce,

                      l’anima mia

                      scalfisce.

                     Odio la notte,

                     un raggio di luce

                     mi scuote,

                     mi sveglio

                     in lacrime vuote.

Concorso “IL Tiburtino”, inserita nell’omonima Antologia 2021