Eventi, Interviste

VICENZA JAZZ FESTIVAL

olimpico-jazz-contest-2022

11 /20 maggio e 14/17 luglio 2022

a cura di GIOVANNA FERRO

La XXVI edizione 2022 del VICENZA JAZZ FESTIVAL apre le porte ad artisti internazionali dall’11 al 20 maggio e con una edizione estiva che si terrà dal 14 al 17 luglio.

Il Festival internazionale ritorna in Live con nomi prestigiosi della musica jazzistica e globale.

Protagonista è il Jazz, in tutte le sue sfumature, ma si alterneranno interessanti e diversificati eventi culturali per promuovere la città di Vicenza e tutto il suo territorio.

Un programma ambizioso, con produzioni originali, un cartellone vasto e vario di concerti finalizzati a mettere in rilievo le molteplici e affascinanti sfaccettature e contaminazioni del jazz.

Artisti affermati, nazionali ed internazionali, e tante donne, tra cantanti e musiciste, saranno in scena nei luoghi più simbolici del Vicentino: da Bill Frisell a John Scofield, Joe Lovano( in trio con la pianista Marilyn Crispell e la batterista Carmen Castaldi), Avishai Cohen, Richard Bona con  Alfredo Rodriguez, David Murray, John Surman, pianista armeno Tigran Hamasyan, il ritorno dei Doctor 3(ovvero Danilo Rea, Enzo Pietropaoli e Fabrizio Sferra), Enrico Rava con Fred Hersch, Maria Pia De Vito, Ada Montellanico, voce di riferimento nel panorama jazzistico italiano. Tanti altri nomi altisonanti prenderanno parte a questa Rassegna internazionale.

Joe Lovano

Non solo i Teatri, gli artisti avranno come palcoscenico, ma anche locali, palazzi antichi, chiese, musei, cinema, librerie e, le strade e le piazze del centro storico si riempiranno di coinvolgenti street band.

Evento particolarmente importante del Festival vicentino è l’omaggio a una delle figure più rilevanti della storia della musica afroamericana, Charles Mingus, per i suoi 100 anni. La sua musica sarà la colonna sonora di una numerosa serie di concerti ed eventi.

A sostegno dei giovani musicisti emergenti del territorio, con proprie produzioni discografiche, ci sarà la rassegna “Proxima”, curata in collaborazione con l’associazione Bacàn.

La prima serata del Festival si apre con la Semifinale “Olimpico Jazz Contest”, che vedrà protagonista il “Furio Di Castri Quintet” presso l’Auditorium Fonato di Thiene; Contest giunto alla sua seconda edizione, in cui si confronteranno voci nuove del panorama musicale europeo.

Il Vicenza Jazz Festival dopo maggio da appuntamento agli appassionati del “genere”, con una serie di “eventi collaterali”, dal 14 al 17 luglio: un Festival nel Festival.

Vicenza Jazz Festival chiuderà questa edizione di maggio e luglio 2022, ricchissima, con Vijay Iyer, uno dei solisti che stanno definendo più chiaramente i contorni del pianoforte jazz contemporaneo.

Il festival New Conversations Vicenza Jazz 2022 è promosso dal Comune di Vicenza in collaborazione con la Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, in coproduzione con Trivellato Mercedes Benz (azienda protagonista del festival fin dall’inizio, grazie alla passione e all’impegno di Luca Trivellato), con Aquila Corde Armoniche di Vicenza come sponsor e Acqua Recoaro come sponsor tecnico.

Ma di tutto questo e tanto altro ce ne parlerà il Direttore Artistico della kermesse RICCARDO BRAZZALE.

Riccardo Brazzale

Culturalfemminile lo ha incontrato:

  • Caf: Vicenza Jazz è giunto alla 26a edizione. Chiedo al direttore artistico Riccardo Brazzale quando e come nasce il Festival Internazionale.

“New Conversations Vicenza Jazz” nasce nel 1996, dopo alcuni anni di test. Nasce per la compresenza in città, in quegli anni, di alcuni stake holders appassionati e determinati: fra questi, il sottoscritto, allora consulente musicale dell’assessorato alla cultura del Comune di Vicenza, quindi l’allora assessore Francesca Lazzari e poi alcuni imprenditori fra cui l’attuale coproduttore Luca Trivellato, la cui azienda compie cent’anni nel 2022 come Mingus e Kerouac. Fu una scommessa incredibilmente vinta quasi subito per aver saputo portare una musica così votata ai nuovi linguaggi nei luoghi e nei templi palladiani, primo fra tutti il Teatro Olimpico, il più antico teatro coperto al mondo.

  • Caf: Ci sarà un tributo a una figura storica della musica afroamericana, quella di Charles Mingus: quali sono gli eventi a lui dedicati?

Ce ne saranno molti. Ricordo almeno i progetti in quintetto e in solo di Furio Di Castri, quello in duo di Salvatore Maiore ma soprattutto quello dei rinati Doctor 3 “Mingus Three” e una vera e propria produzione quale quella pensata dal sassofonista David Murray che, con l’altro tenorista Shabaka Hutchkings, rileggerà in prima assoluta una storica pagina mingusiana come “Pithecanthropus Erectus”.

  • Caf: Come si riesce a far convivere il jazz puro, con tutte le sue commistioni musicali, e la cultura jazzistica afroamericana?

È la vera, autentica vitalità del jazz, di ieri e di oggi, una musica che è sempre stata, sin dalla nascita, una musica di sintesi per antonomasia, una musica di incontri, musicali e culturali, una musica che non teme e anzi cerca le diversità. Oggi, e oramai da tanti anni, si fa jazz di grande qualità tanto nelle Americhe che in Africa, nell’Europa del nord e nell’Asia orientale. Anzi, a ben vedere, è lo stesso melting pot americano che è sempre più colorato di diversità culturali ed etniche, con provenienze da ogni dove. E in fondo è così anche in Italia e in Europa, dove lo scambio e la condivisione, non solo in musica, fanno parte della quotidianità. C’è da tempo una musica autenticamente globale, che vive tanto di ritmi nordafricani che di melopee indonesisane, di polimetrrie balcaniche e di melodie mediterranee, all’interno della quale il jazz si trova perfettamente a suo agio, perché avvezzo sin dai primi decenni del secolo scorso a confrontarsi con le culture più diverse.

  • Caf: Oltre ai tantissimi concerti in programma, Vicenza Jazz Festival prevede anche un contest: di che si tratta?

Quest’anno siamo alla seconda edizione di un concorso, l’Olimpico Jazz Contest, che il coproduttore Trivellato ha voluto dedicare ai giovani under 30, sia strumentisti che compositori. Per questo 2022 era inevitabile che il concorso fosse dedicato a Mingus, quindi ai contrabbassisti e ai compositori. I candidati provengono da varie parti d’Europa: è già questo un piccolo successo che fa ben sperare per il futuro di questa musica. La giuria ha selezionato i giovani che saranno protagonisti di semifinali e finali delle diverse sezioni.

  • Caf: I concerti saranno alternati e affiancati da eventi culturali di natura diversa?

Certamente. Ne cito solo alcuni. Vi saranno presentazioni di libri, come quello a fumetti di Flavio Massarutto, seminari, come quelli del contrabbassista Ares Tavolazzi e del musicologo Maurizio Franco, proiezioni di film in prima nazionale, come. in lingua originale e in italiano, “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday”. Ma anche eventi concertistici in luoghi non convenzionali: i musei (ricordo il quartetto d’archi della contrabbassista Federica Michisanti), le chiese e persino il cimitero monumentale, dove si esibirà la cantante Ada Montellanico, con un progetto ad hoc. In realtà, le donne saranno molto presenti a Vicenza Jazz: oltre alle citate, vorrei ricordare almeno Maria Pia De Vito per il particolare progetto con Enrico Rava e Fred Hersch e poi il trio del sassofonista Joe Lovano con Marilyn Crispell al pianoforte e Carmen Castaldi alla batteria.

  • Caf: Dall’Emilia Romagna al Veneto, in cui le origini musicali sono ben diverse, il jazz è il protagonista assoluto dei noti festival internazionali che vi si organizzano: cosa ne pensa?

L’Italia, in generale, si è sempre caratterizzata per la vitalità di moltissimi centri, anche non metropolitani, con una maggiore capillarità di iniziative e attività culturali decentrate e diffuse, al di là di quanto succede nelle città capitali. È una situazione che non ha paragoni all’estero e che si riflette anche nel panorama jazzistico. In particolare, va sottolinerato che il nord-est italiano vive da anni una felice congiuntura anche in campo jazzistico, in particolare fra Emilia e Veneto, quantunque per motivi diversi: in Emilia, storicamente, vi è una certa attenzione allo sviluppo delle attività culturali; in Veneto ha giovato molto sia l’attività accademica, molto sviluppata, dei conservatori e delle università e sia, nel bene e nel male, l’esistenza di una sorta di grande città metropolitana diffusa, che unisce le attività produttive a quelle culturali. E il jazz, indubbiamente, è parte di tutto questo, avendo trovato vita anche nei tantissimi locali, bar ristoranti che fanno musica, ovunque, persino nei centri piccoli.

Grazie al Direttore Artistico per averci dedicato un po’ del suo tempo illustrandoci, oltre agli eventi musicali, quanto lavoro e passione c’è dietro ad una kermesse di tale portata.

Ringrazio Daniele Cecchini dell’ufficio stampa per la sua disponibilità e, intanto, per chi volesse vivere momenti musicali unici, vi lascio il Link da poter consultare con le date dei Concerti e degli eventi che si terranno al Vicenza Jazz Festival 2022: https://www.vicenzajazz.org

Articolo per culturalfemminile.com, Aprile 2022

Eventi, Interviste

CROSSROADS: Jazz e altro in Emilia Romagna

XXIII Edizione 4 marzo – 24 luglio 2022

a cura di GIOVANNA FERRO

La XXIII Edizione 2022 di Crossroads ha avuto inizio il 4 marzo e proseguirà fino al 24 luglio.

Noa

Saranno 20 i Comuni dell’Emilia Romagna che faranno da palcoscenico a più di 60 concerti.

Protagonista è il Jazz, in tutte le sue sfumature: dal jazz puro che si fonde con la classica cosiddetta “colta”, dal mainstream di matrice afroamericana alle avanguardie europee, dal jazz gitano alla fusion, dallo swing agli ibridi linguaggi musicali attuali.

Paolo Fresu © Roberto Cifarelli

Il programma è vasto e vario, come diversi saranno i luoghi in cui gli artisti si esibiranno.

Un vero e proprio viaggio con la musica alla scoperta di posti mai preposti prima ad accogliere eventi musicali di tale portata.

Crossroads è un’ iniziativa musicale e culturale ad ampio raggio che offre quattro mesi di alta intensità jazzistica.

Sono oltre 450 i musicisti che prenderanno parte a questo lungo Festival: artisti affermati, nazionali ed internazionali, ma anche giovani proposte, e tante donne, tra cantanti e musiciste.

I principali jazzisti italiani, Paolo Fresu, Enrico Rava, Fabrizio BossoJavier Girotto, cosiddetti artisti residenti, che nel corso degli anni hanno proposto e condiviso innumerevoli progetti musicali, si esibiranno da solisti e duetteranno con artisti di caratura internazionale. Affiancheranno voci, parole e ricordi di artisti come Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè.

Enrico Rava & Fred Hersch

Tanti saranno i musicisti internazionali di provenienza europea e americana, e tante le voci femminili del “nostro” jazz, tra le altre Tiziana Ghiglioni, Maria Pia De Vito, Lisa Manara.

Molti gli omaggi dei tanti magnifici gruppi musicali ospiti ad altrettanti grandi musicisti.

Al festival Ravenna Jazz, che si terrà dal 4 al 13 maggio, ritroveremo gli artisti residenti, il cui programma confluisce nel cartellone della Rassegna e nella seconda metà di maggio Crossroads sarà in pianta stabile a Correggio: possiamo definirlo un festival nel festival.

La Rassegna è un viaggio nella storia del Jazz che attraversa i continenti giungendo nei Teatri e nelle sale delle città e dei paesi dell’Emilia Romagna, in cui i concerti dal vivo daranno vita ad eventi memorabili e, si spera, restituiscano socialità e condivisione di emozioni.

Fabrizio Bosso

Crossroads 2022 è organizzato da Jazz Network in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia Romagna, con il sostegno del Ministero della Cultura e di numerose altre istituzioni, e con il patrocinio di Anci Emilia Romagna.

Direttrice artistica di Croassroads è SANDRA COSTANTINI e Cultura al Femminile l’ha incontrata:

Cf: Crossroads è giunto alla 23a edizione. Chiedo alla direttrice artistica Sandra Costantini quando e come nasce questa Rassegna che coinvolge l’intera Emilia Romagna.

Crossroads è nato nel 2000, allora coinvolgeva quattro città capoluogo: Bologna, Ravenna, Reggio Emilia e Modena. Anno dopo anno il festival si è esteso sul territorio regionale, fino a comprendere ad ogni edizione più di 20 località dell’Emilia-Romagna, dai grandi centri ai piccoli paesi, di solito ignorati dai circuiti culturali, per un totale di oltre 60 concerti. Oggi tutte le province vi sono rappresentate, e portare il jazz di qualità specialmente in località periferiche e decentrate continua ad essere missione prioritaria per la nostra associazione Jazz Network, che si assume il cosiddetto “rischio culturale”. La trasversalità, la ricchezza del molteplice, la ricerca del nuovo sono l’anima del festival: così come gli artisti delle più varie generazioni spaziano dalle star acclamate ai giovani emergenti, provenienti da ogni parte del mondo, e le proposte artistiche si estendono dalla tradizione all’avanguardia alla commistione con altre musiche, anche i luoghi che ospitano gli eventi vanno dai teatri classici ai moderni auditorium, dai club alle chiese sconsacrate, dai cortili di chiostri alle corti, ai centri giovanili…

CF: Cosa c’è dietro alla programmazione e alla preparazione di un Festival così articolato e diversificato?

Un grande lavoro, a cominciare da una continua tessitura di rapporti, ogni volta rinnovati, con tutti i partner di Crossroads: non solo le istituzioni locali, i Comuni delle varie località ma anche altre associazioni operanti sul territorio (che gestiscono club e locali), alcune fondazioni… Poi, non secondaria, la stesura del programma, con ogni concerto pensato per ogni luogo diverso, la complessità degli “incastri”, tra la disponibilità degli artisti e quella delle sedi in cui si vuole farli esibire… Si inizia non per nulla l’anno prima, e non si finisce mai…

CF: Dal programma leggo che Crossroads 2022 non è solo un viaggio musicale nella cultura Emiliana e Romagnola. Cosa si prevede?

L’Emilia Romagna è la terra dei granducati: un territorio così vario e ricco di particolarità, che andare a un concerto vuol dire anche scoprire angoli di una bellezza inimmaginabile, architetture affascinanti, panorami suggestivi, cibi e vini caratteristici di straordinaria qualità…

CF: All’interno del cartellone ci sono nomi altisonanti del jazz italiano, americano ed europeo, generazioni a confronto, ma leggo, soprattutto, con piacere che c’è un’alta presenza di donne.Questo vuol dire che le donne hanno fatto proprio un linguaggio che fino a qualche tempo fa era prerogativa maschile? Cosa ne pensa?

Sì, le donne stanno entrando sempre più in questo mondo un tempo riservato quasi esclusivamente ai soli uomini, sia da protagoniste sui palcoscenici (sono molte e brave le artiste, non solo cantanti ma anche strumentiste e compositrici!), sia come spettatrici, sempre più assidue fra il pubblico. Direi che è un ottimo segno, ed è indubbiamente interessante veder arricchire la scena improvvisativa di una prospettiva femminile. Il jazz ne guadagna, così come il nostro ascolto.

CF: I concerti saranno alternati o affiancati da eventi culturali di natura diversa?

Alcune attività collaterali accompagneranno gli eventi concertistici, da presentazioni di libri a vari workshop, seminari e guide all’ascolto…

A Imola in marzo, sotto il titolo “Tra Jazz e Fumetto”, Vanni Masala presenterà il suo libro “Le muse del jazz. Storie e misteri di 68 personaggi femminili che hanno ispirato le composizioni più belle”, mentre Flavio Massarutto parlerà del suo “Mingus”.

Nella prima metà di maggio, protagonisti dei classici workshop ravennati di “Mister Jazz” saranno tre docenti d’eccezione: il chitarrista Roberto Taufic (“Jazz & Brasile”), il batterista Roberto Gatto (“Ritmi & colori del tempo”) e l’illustre fotografo Roberto Masotti (“Jazz Photos @live&studio, variazioni sul tema”). Sempre a Ravenna, a conclusione di vari incontri-laboratori dell’iniziativa didattica “Pazzi di Jazz”, si terrà il 9 maggio (inserito nel programma di Ravenna Jazz) il concerto finale che coinvolge un imponente organico di giovanissimi tra orchestra e coro, diretti da Tommaso Vittorini autore degli arrangiamenti, a esibirsi sul palco coi propri maestri: Enrico Rava, Mauro Ottolini e Alien Dee.

Nella seconda metà di maggio, a Correggio sono previsti i seminari intensivi “On Time”, quattro giornate con molteplici laboratori, sia per strumento che di musica d’insieme e a tema, tenuti da otto docenti, con incontri nelle scuole, jam session nei locali e nelle vie cittadine, commissione nuova opera e concerto finale in teatro con allievi e insegnanti.

I primi di giugno, lo storico del jazz Francesco Martinelli terrà due guide all’ascolto di Nina Simone (al Conservatorio Maderna di Cesena e alla Scuola Comunale di Musica Sarti di Faenza) in vista del concerto in omaggio alla Simone previsto a Rimini a fine mese, con Italian Jazz Orchestra, Maria Pia De Vito e Flavio Boltro.

CF: Una domanda forse scontata: gli ultimi tragici accadimenti potrebbero influenzare il clima all’interno degli eventi musicali?

La musica e la cultura in generale costituiscono il più forte antidoto contro le ingiustizie, le tensioni sociali e perfino le guerre… Non andrebbero mai nel modo più assoluto censurate, cosa a cui purtroppo stiamo assistendo. Il jazz in particolare, coi suoi princìpi e valori universali, metafora eccellente di solidarietà, interrelazione paritaria, quindi insuperabile modello sociale ed educativo e paradigma di comunità ideale, è per sua natura inclusivo e vocato alla convivenza fra uguali, condizione basilare per il mantenimento della pace.

Non a caso l’Unesco ha dichiarato il jazz “patrimonio dell’umanità”, dedicandogli dal 2012 una giornata celebrativa, il 30 aprile di ogni anno (International Jazz Day).

Il jazz è “cultura universale”, ponte tra i popoli, esperanto contro ogni barriera, ogni pregiudizio, ogni forma di razzismo.

Grandissimi jazzisti, da Archie Shepp a Benny Golson, hanno affermato che “se il jazz governasse il mondo, non ci sarebbero più guerre”.

La cultura è l’arma più potente contro ogni forma di intolleranza e di violenza. Conoscere le culture altrui vuol dire rispettarle, comprendere le diversità significa essere capaci di convivere pacificamente e condividere. Purtroppo oggi il mondo è sotto attacco di ignoranza e oscurantismo.

Vogliamo esattamente il contrario: che la musica dalle miriadi di concerti, suonata dalle centinaia di artisti di ogni dove, etnia e credo, come fosse un’unica immensa orchestra, si levi sulla terra con la sua voce potente ad accompagnare il Coro dell’Opera di Odessa, sconfigga gli orrori e unisca i popoli in una pace consapevole e duratura.

Voglio ringraziare la Direttrice Artistica di Croassroads SANDRA COSTANTINI che nella sua miriade di impegni, con la Rassegna in corso, ha trovato uno spazio anche per noi.

Oltre ad illustrarci gli eventi musicali che si sussegueranno, ha voluto sottolineare quanto la musica può dare voce a tanti che in questo momento storico particolare hanno bisogno di vicinanza e aiuto concreto.

“Un giorno anche la guerra s’inchinerà al suono di una chitarra” diceva un artista musicale tra i più leggendari: Jim Morrison.

Ringrazio Daniele Cecchini dell’ufficio stampa per la sua disponibilità.

Intanto, appassionati di jazz e non, vi lascio il Link di Crossroads 2022 dove poter consultare le date dei Concerti che si terranno in Emilia Romagna tra marzo e luglio dell’anno in corso.

Articolo pubblicato il 19 marzo 2022 per culturalfemminile.com

Eventi, Interviste

UMANA COMMEDIA: omaggio di POIETIKA a Dante Alighieri a cura di Giovanna Ferro

Umana Commedia: omaggio di Poietika a Dante Alighieri

intervista di Giovanna Ferro

Il primo appuntamento della Fondazione Molise Cultura per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri lo presenta POIETIKA ART FESTIVAL, che rientra negli eventi straordinari coordinati da PIAZZA DANTE#Festivalinrete, la rete nazionale formata dai 42 più importanti, consolidati e apprezzati Festival Culturali italiani che hanno deciso di unirsi per celebrare l’anniversario dantesco del 2021, ma costituisce anche una straordinaria occasione per confrontarsi e costruire percorsi comuni con altre solide e riconoscibilissime realtà nazionali. I Festival italiani, che svolgono da anni un ruolo fondamentale nella vita culturale del nostro Paese, uniscono le loro esperienze nella convinzione che insieme si possa essere più forti e si possa costruire un modello di condivisione e di “rete” che faccia convergere le idee e le peculiarità individuali in un progetto comune.

La lettura dei 33 canti selezionati sarà affidata a gente comune, a chi soffre, a chi è in difficoltà, ma anche a studenti, professionisti, imprenditori, preti, medici. Così il viaggio con Dante diventa il percorso di vita umano di ciascuno. Una lettura senza la presenza del pubblico, come impongono le norme anti Covid

“L’importanza del progetto consiste – dichiara la Presidente di FMC Antonella Presutti – nel recuperare l’umanità del Poeta. Chi leggerà darà voce alla propria esperienza di vita”.

Cultura al Femminile ha incontrato la Presidente della Fondazione Molise Cultura, la Dott.ssa ANTONELLA PRESUTTI, a lei abbiamo chiesto di parlarci della Fondazione e delle sue molteplici attività.

C.F.: Ci parla della Fondazione Molise Cultura?

A.P.: La Fondazione Molise Cultura è una fondazione promossa dalla Regione Molise ha tra le altre cose incorporato, cosa abbastanza singolare, anche un pò pionieristica, la Fondazione Teatro Savoia, che era quella che gestiva il Teatro, quest’ultimo in stile liberty molto bello della città di Campobasso che rimane di proprietà della provincia, ma lo gestiamo noi.

Di fatto gestiamo gli spazi del Palazzo dell’ex GIL, unico esempio di edificio razionalista costruito nel 1938, che durante il ventennio fascista ospitava appunto la Gioventù Italiana del Littorio. La ristrutturazione, fortemente voluta dal Governo regionale, ha consentito la realizzazione di un luogo-contenitore dedicato esclusivamente alla cultura e alle sue molteplici specificità. Gestiamo l’auditorium, che è di oltre 300 posti, e uno spazio espositivo di 1000 mq, quindi anche molto importante e in più il Teatro Savoia.

Noi interveniamo su quattro linee fondamentali di progettazione e di programmazione: una è la stagione teatrale proprio del Savoia, dove tra le altre cose discutiamo anche come partner una serie di altre iniziative, come ad esempio la stagione degli Amici della Musica, ospitando all’auditorium anche molte delle attività del Conservatorio di Campobasso; altro girone di azione è quello delle Mostre nello spazio espositivo della Gil e noi qui teniamo ad alternare, ( a parte che affittiamo degli spazi per chiunque ne voglia usufruire) quelle che sono grandi Mostre, abbiamo ospitato De Chirico, Picasso, McCurry, a qualche Mostra di nostra produzione e ad altre di artisti locali.

In qualche modo la nostra filosofia, che ci muove in modo particolare è quella di aprire il Molise alla realtà italiana e mondiale, ma anche quella di uscire dai nostri confini regionali, di avere un percorso con doppio andamento, portare le persone da fuori a conoscere la nostra regione, attraverso il segmento culturale, e nello stesso tempo uscire noi, ma in Italia c’è stata fino a qualche anno fa questa sorta di indicazione coatta per la cultura, per cui qualsiasi cosa, qualsiasi mostra, qualsiasi grande evento, si volesse vedere, di necessità bisognava superare i confini regionali. Noi invece cominciamo a diventare attrattivi in qualche modo con l’esterno.

Oltre le mostre abbiamo due rassegne cinematografiche: una è quella del cinema spagnolo che in realtà si tiene a Roma, ma sono state scelte una serie di altre città, dove vengono portati alcuni film di proiezione spagnola, e Campobasso è stata una delle prime città che dal 15 al 17 luglio ha proiettato queste magnifiche pellicole.

Tra fine agosto e gli inizi di settembre abbiamo avuto un’ altra bella rassegna,Tintilia Noir” la terza stagione della rassegna letteraria del giallo e del noir e la presentazione dei libri normalmente le facciamo tra l’Auditorium e questa bellissima terrazza della Gil, che ospita circa 200 persone, ovviamente questo prima delle restrizioni.

C.F.: Come nasce Poietika all’interno della Fondazione?

A.P.: Di Poietika siamo molto orgogliosi e siamo arrivati alla settima edizione. E’ nata in qualche modo da un’idea molto visionaria, coltivata all’interno della Fondazione anche con Valentino Campo, direttore artistico: è nata in maniera quasi farneticante, non sapevamo verso cosa stavamo andando, se non l’idea di ospitare nomi significativi per un confronto nato sulla letteratura, ma che poi si è andato ampliando sempre di più. L’idea è stata quella di creare un’agorà nella quale si potesse discutere di tematiche forti, attraverso un confronto tra grandi personalità del nostro tempo e intellettuali locali. Poietika è nata nel 2015 come ideale luogo di incontri, di conversazioni e dialoghi, tra il locale e il globale, tra il Molise e il mondo. 

Poetika oggi è stato individuato come uno dei grandi Festival Internazionali, dal Ministero, ed è tra le altre cose, quest’anno, un Festival collocato all’interno di Piazza Dante per i 700 anni dalla sua morte, che per altro raccoglie i più importanti festival nazionali, 41, del Molise siamo solo noi e questo ci inorgoglisce.

Con Poietika, propriamente detta, il nostro obiettivo è il coinvolgimento di tutta la città di Campobasso, ma anche il più possibile di tutta la regione, quindi veramente brendizzare un pò e collegarlo a questa bella manifestazione nella quale sono venuti i più grandi, all’interno dei vari segmenti: tra gli altri, il regista Pupi Avati, lo scrittore Valerio Magrelli, il filosofo Galimberti,  il musicista Aehad Ahmad pianista di Youruk, celebre in tutto il mondo per il suo impegno a difesa dei diritti umani, che ha fatto l’unico concerto in Italia da noi, e McCurry, che oltre alla mostra, al Teatro Savoia è venuto a parlare della sua idea di fotografia. Ad ottobre avremo una mostra molto importante, di incisioni con Goya inserita in un interessante programma.

La mattina ci sono anche iniziative per le scuole, cerchiamo di lavorare anche con l’Università. Avremo una presenza internazionale che è quella di Teresa Salghero, voce storica di Madre Deus.

Anche quest’anno ci sono nomi illustri importanti, stiamo trattando con premi nobel, come Albin Sachs. L’idea è proprio quella di respirare davvero il mondo e di dialogare con grandi autori, anche con nostri artisti, persone in qualche modo di sensibilità e di cultura. L’obiettivo è quello il più possibile di coinvolgere e, soprattutto, quello di ampliare il più possibile l’orizzonte, ospitando economisti, giuristi, filosofi: è davvero un occhio complessivo sulla realtà tematicamente parlando, perchè di anno in anno abbiamo avuto un tema.

Per il tema di quest’anno siamo partiti da una riflessione sulla pandemia guardandola da un altro punto di vista, cioè l’idea della limitazione, perchè in qualche modo ci siamo dovuti confrontare con la negazione dei rapporti umani, nelle relazioni ed ha rappresentato anche per noi un approccio alla vita in maniera diversa e cercando di ragionarne, di parlarne con tutti quelli che sono i nostri ospiti.

C.F.: Poietika ha una gemella, Sonika: alla parola si aggiunge la musica?

A.P.: Noi abbiamo un segmento estivo da quattro anni, che è SoniKa, che è la parte musicale di Poietika che quest’anno dal 25 al 29 agosto, tra terrazza Gil e il Teatro Savoia ha ospitato, tra gli altri, Andrea Chimenti, Eugenio Finardi, Cristina Donà, ma è anche legato alla presentazione di alcuni libri.

C.F.: Un progetto ambizioso quello di Art festival Poietika in omaggio a Dante Alighieri nei 700 anni dalla morte: ce ne parla?

A.P.: Venerdì 15 ottobre ci sarà il Dantedì, appuntamento partito l’8 aprire e giungerà al culmine di Poietika dedicato a Dante. Presentato nel giorno in cui, secondo gli studiosi proprio il 25 marzo del 1300, Dante Alighieri inizia la sua discesa agli inferi “Nel mezzo del cammin di nostra vita”.

A chiusura di serata ci sarà l’omaggio dei giovani che rielaboreranno in maniera rep i testi, rileggendoli appunto in chiave moderna.

Infine, abbiamo messo in campo questa singolare “Umana commedia” di Poietika molto particolare, cioè la lettura di 33 canti scelti declamati dalle persone più normali, più disparate possibili: casalinghe, preti, abbiamo avuto un primario della terapia intensiva che, parlando della sua terribile esperienza, ha letto il 34 canto “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Lottando con la morte ogni giorno, ha spiegato dal proprio punto di vita i versi non in maniera filologica o storiograficamente, ma rendendo tutto oggettivamente umano, da questo anche il nome, di chi sente vicino alla propria sensibilità le ragioni propriamente umane.

C.F.: Il Festival è in corso, quale è stata la risposta del pubblico?

A.P.: La risposta del pubblico è stata eccellente e per questo pensiamo di superare i confini regionali perchè a livello culturale ormai abbiamo raggiunto tutto quello che potevamo raggiungere, le manifestazioni sono piene e ne siamo orgogliosi.

Grazie alla Presidente della Fondazione Cultura Molise per la sua esaustiva ed appassionata descrizione delle innumerevoli attività e progetti che la Fondazione promuove ogni anno.

Vi invito a guardare i video di Umana Commedia cliccando sul Link:

https://www.poietika.it/category/umana-commedia/

Articolo, settembre 2021, per Culturalfemminile

Interviste

FacotTango – Cicero e Morata

Dall’Argentina alla Sicilia il FagotTango di Cicero e Mocata

intervista di Giovanna Ferro

FagotTango di Fabrizio Mocata & Antonino Cicero, Acqua Records 2021

Il tango non esiste più. Esisteva molti anni fa, fino al ’55, quando Buenos Aires era una città dove si vestiva il tango, si camminava nel tango, si respirava nell’aria un profumo di tango. Il tango di oggi è solo un’imitazione noiosa e nostalgica di quel tempo

dirà Astor Piazzolla che stava maturando la sua grande rivoluzione sonora e la svolta definitiva la compì nel 1974 con l’album ‘Libertango’.

Cento anni fa, l’11 marzo 1921, nasceva a Mar del Plata in Argentina, Astor Pantaleon Piazzolla.

Due musicisti siciliani Antonino Cicero e Fabrizio Mocata celebrano questa data con l’uscita del loro disco FagotTango pubblicato con la prestigiosa etichetta discografica argentina Acqua Records.

Antonio Cicero, fagottista, e Fabrizio Mocata, pianista, omaggiano con questo lavoro due grandissimi artisti, unici nel loro campo artistico: Astor Piazzolla e Anìbal Troilo.

Piazzolla considerato musicalmente l’esponente più importante del suo paese e grande riformatore del tango;Troilo tra i più grandi direttori d’orchestra del tango argentino, oltre che il più grande bandoneonista di tutti i tempi.

FagotTango è un tributo al Tango in tutta la sua espressione artistica: da quello tradizionale di Troilo a quello innovativo di Piazzolla. Un progetto ambizioso, quello dei due musicisti, che affronta il tango in una chiave inedita.

Riletture e sperimentazioni musicali fanno di questo album un condensato di poesia, musica e danza. I suoni coinvolgono il corpo e travolgono l’anima. La malinconia del tango, lento, languido e voluttuoso si evoca in brani famosi del repertorio milonguero come “Trampera”, una milonga di Troilo, “Valsecito amigo”, “Quejas de bandoneon”, “Street tango”, “Vuelvo al Sur”e l’inedita traccia che intitola l’album, “FagotTango”, scritta da Mocata.

La combinazione strumentale Fagotto e Pianoforte è alquanto atipica, come la definiscono gli stessi musicisti. Inusuale è l’uso del fagotto nel repertorio tanguero, infatti alcuni brani contenuti nell’album sono stati suonati e registrati per la prima volta con questo meraviglioso strumento. La magistrale bravura dei due musicisti non fa rimpiangere né il bandereon, né la fisarmonica, strumenti più congeniali alla musica argentina. Fagotto e pianoforte dialogano senza mai sovrapporsi: due pentagrammi, due voci, due timbri che si amalgamano con maestria e bravura.

“Mi piace pensare che anche a Piazzolla sarebbe piaciuto questo sperimentalismo“, dice il fagottista Cicero.

FagotTango: https://www.youtube.com/watch?v=LvAx-oMdRLI&list=RDLvAx-oMdRLI&start_radio=1&t=21

Cultura al femminile ha incontrato i due musicisti:

Come nasce la vostra collaborazione: chi ha trovato chi?

Antonino: La collaborazione tra me e Fabrizio nasce dalla passione comune per il tango e da una comune “atipicità” nell’affrontare il genere. Sono io che ho cercato Fabrizio per realizzare un progetto per pianoforte e fagotto che avevo in mente da tempo. Qualche anno fa sui social mi sono imbattuto in Mocata, straordinario pianista, compositore eclettico e siciliano come me; mi piace molto la sua ricerca, la sua musicalità, il suo modo di suonare il tango con una personalità ben precisa e ricca di conoscenza e di formazione. Così, attraverso conoscenze comuni, l’ho contattato, ci siamo scritti per un po’ e abbiamo pensato di realizzare qualcosa insieme.
Gli ho proposto la mia idea di un omaggio a Piazzolla per fagotto e pianoforte per celebrare il prossimo centenario della nascita, un omaggio che affiancasse a Piazzolla la figura determinante di Anibal Troilo.

Fabrizio: Ho conosciuto Antonio il giorno che abbiamo registrato il disco, avevamo comunque diversi amici in comune che sono stati il tramite per collegarsi. Ci siamo sentiti telefonicamente e mi ha proposto di vederci per una sessione di registrazione, e così e stato. In una estate, quella appena trascorsa, in cui ho deciso di risalire l’Italia a tappe musicali da Mazara del Vallo fino a Firenze, Messina è stata una tappa. Con Antonio con cui abbiamo registrato il disco in un pomeriggio, guardando dall’alto lo stretto che separa la nostra Sicilia dal continente.

Due siciliani con la passione per il tango: come mai?

Antonino:Il tango è una passione universale globale. Non siamo gli unici musicisti a essere uniti dall’amore per questo genere musicale. Io amo anche il mondo milonguero del ballo che in Sicilia è molto sentito come in tutto il mondo.
Non sono molti in Italia i musicisti che hanno esplorato il tango della tradizione argentina, quello prima di Piazzolla. Il repertorio e il groove di quella tradizione. Questo mi ha avvicinato a Fabrizio, la sicilianità ha facilitato il riconoscersi in questa ricerca ancora inusuale.


Fabrizio: Il tango è una musica universale. Personalmente l’ho incontrato più di venti anni fa a Firenze, attraverso la musica di Astor Piazzolla. Da quel momento è stato una scoperta continua, che mi ha portato a girare il mondo e a collaborare con grandi artisti. In tantissimi festival sono stato il primo italiano a presentarsi come solista e soprattutto come compositore, un privilegio unico che mi riempe di gioia.

Cosa ti ha convinto, Fabrizio, che un dialogo tra pianoforte e fagotto potesse funzionare in un genere definito, come lo è il tango?

Mi ha convinto la passione e la conoscenza di Antonio, che oltre ad essere un ottimo strumentista, dimostra di conoscere e possedere il linguaggio del tango. Per quanto riguarda tecnicamente, credo che il concetto lo esprima molto meglio Antonio, il fagotto ha un modo di emissione del suono che è affine a quello del bandoneon. A questo proposito mi è piaciuto comporre un tango dedicato a questo strumento, cercando di esplorarne sonorità e possibilità timbriche. Ringrazio Antonio per averlo eseguito.

Sperimentare, rielaborare, rileggere le musiche di due grandi musicisti, nel loro genere, Piazzolla e Troilo: come avete scelto il repertorio?


Antonino
: Io ho proposto a Fabrizio un repertorio di brani di Piazzolla che già da tempo studiavo e mi appassionava, quando abbiamo scoperto l’amore comune per la musica di Troilo, la selezione è stata più semplice del previsto. Dal momento che un omaggio a Piazzolla non poteva non contenere un omaggio a Troilo e al rapporto che ha legato questi due giganti del tango.

Fabrizio: Devo confessare che il repertorio è stato selezionato da Antonio, che ha voluto fare un tributo a due grandissime figure del tango. Per quanto mi riguarda, mi è piaciuto adattarmi alle sue scelte, cui ho contribuito suggerendo uno o due brani. Un repertorio che mescola virtuosismo, tango classico e tango sperimentale in un dosaggio molto equilibrato. Il brano originale invece l’ho scritto proprio pensando all’inusuale suono del Fagotto, che si avvicina sia per registro che per emissione a quello del bandoneon.

L’etichetta discografica di “FagotTango” è argentina: è stata una scelta casuale?

Antonino: Io sono arrivato ad Acqua Records grazie a Fabrizio che ha già pubblicato altri lavori importanti per questa etichetta, attraverso Fabrizio ho conosciuto anche  Ivan Pantarelli che ha seguito il lavoro di produzione dell’album da Buenos Aires tenendo il contatto con Acqua Records.
Per me pubblicare questo progetto con Acqua Records diventa ancora più importante, perché è un’etichetta argentina, una delle più importanti etichette di musica indipendente al cui interno troviamo molti artisti e musicisti di rilievo nello scenario contemporaneo della musica argentina e in particolare musicisti che hanno inciso molto tango.

Fabrizio: L’etichetta Acqua Records mi segue da diverso tempo, con loro ho pubblicato “Swango” e “Cruzando Aguas”, presentati presso la Academia Nacional del Tango e al Festival Mundial del Tango. Nella ultima produzione con Acqua Records, insieme a questo disco, quello con M. Alvarado “Tango y vino”. In tutti questi lavori, c’è la dedizione del produttore I. Pantarelli, che ha curato il suono che mi caratterizza.

In questo anno particolare come avete vissuto la vostra musica?


Antonino: Io ascolto tanta musica, suono ogni giorno e mi manca moltissimo suonare con altri musicisti, mi manca il rapporto con il pubblico durante il concerto.
Per questo sono un po’ contrario a fare i concerti in streaming come sostituzione definitiva del concerto dal vivo, perché per me la musica è come il tango danzato, ci deve essere la condivisione con gli altri e il contatto dal vivo anche per condivide le emozioni, i corpi, la presenza fisica, avere il pubblico come cassa di risonanza, per fare la musica io ho bisogno di queste sentire le vibrazioni che mi arrivi questa energia durante il concerto, tutte quelle emozioni necessarie del concerto live non possono essere sostituite da un concerto in streaming, dietro un monitor. Realizzare questo disco, ad Agosto, come un live è stato un momento molto liberatorio e rigenerante.

Fabrizio: La mia percezione del tango, attraverso lo streaming e i pochissimi concerti dal vivo che sono riuscito a fare nel 2020, è che l’interesse è sempre vivo, nonostante siano proibiti tutti gli eventi di ballo. Paradossalmente è un buon segnale, che ci dice che il tango è cibo non solo per i piedi ma anche per le orecchie.

Il vostro duo, perfettamente amalgamato, ci regalerà altre emozioni in futuro?


Antonino
:Noi non vediamo l’ora di poter suonare dal vivo questo disco e condividerlo con il pubblico, questa è l’emozione che ci auguriamo.

Fabrizio:Assolutamente si. Non vedo l’ora di condividere il palco, l’unico posto dove mi sento a mio agio nel mondo.

Fabrizio Mocata e Antonio Cicero

Ringrazio Antonio Cicero e Fabrizio Mocata e spero che il connubio fagotto- pianoforte ci regali altre musiche edite e inedite, meravigliose e travolgenti come quelle che hanno “raccontato” nel loro album FagotTango.

Il tango è un pensiero triste che si balla” Jorge Luis Borges

 Contatti

Spotify: https://open.spotify.com/album/4KkYIiUs9CDtQm22rKbymfsi=vQxZkk_UQm-4VLXZKNaUiw


Articolo, marzo 2021, per Culturalfemminile

Interviste

Eppure, ricordo anche dei fiori sul tuo volto di CHRIS YAN

Chris Yan – esce il nuovo video singolo | Newsimedia

Eppure, ricordo anche dei fiori sul tuo volto di Chris Yan

intervista di Giovanna Ferro

Eppure, ricordo anche dei fiori sul tuo volto, il nuovo sound contest di Chris Yan.

Chris Yan, ovvero Christian Mastronardi, sound artist, compositore e field recordist romagnolo, ci ha abituato a guardare oltre la musica e ad ascoltare le immagini.

Già conI paesaggi di Böcklin“, titolo ispirato a “Saggi sul paesaggio” del filosofo Georg Simmel e ai quadri di Arnold Böcklin, il video in time-lapse, girato alla celebre Torre di Castelnuovo, nell’Appennino Romagnolo e presunto luogo degli amanti Paolo e Francesca, smuove con i suoni un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato e in cui nulla accade.

ConEppure, ricordo anche dei fiori del tuo volto”, terzo singolo che anticipa l’uscita dell’album “Blasè”, Chris Yan ha voluto regalarci un brano che è un balsamo per l’anima e un piacere per gli occhi. Tra il suono e le immagini, che sono un’esplosione di colori e di effetti, che richiamano i mood dei suoi brani precedenti, si crea la giusta alchimia.

Questa volta i suoni ambientali, del singolo precedente, lasciano, decisamente, il posto ad una sonorità più classica, più romantica, più poetica.

Il tappeto sonoro, affidato al pianoforte, crea un’atmosfera eterea e soffusa.

Una musicalità che cresce un po’ alla volta, fino ad esplodere, come avviene per le immagini, accompagnata da effetti sonori, che rimandano ad un’orchestra d’archi, per poi diminuire fino a dissolversi.

Eppure, ricordo anche dei fiori del tuo volto

“[…]Cercare la gioia nei luoghi più tristi, inseguire la bellezza là dove si nasconde.[…] Sopratutto osservare. Sforzarsi di capire.
Non distogliere mai lo sguardo.
E mai, mai dimenticare.” John Berger

Cultura al Femminile ha incontrato Chris Yan:

CaL: Prima di parlare del tuo ultimo lavoro, avrei piacere a conoscerti meglio. Ci parli di te e di come nasci musicalmente?

CY: Musicalmente nasco come bassista. Ho iniziato quasi per gioco a 11 anni, poi sul serio da 14. Negli anni ho iniziato ad approcciarmi anche al contrabbasso, ai sintetizzatori, chitarre, sitar e a ogni strumento che mi capitasse tra le mani.

Questo – e la mia benedetta curiosità – hanno fatto in modo che mi approcciassi ad apparecchiature elettroniche che mi permettessero di poter suonare e registrare insieme tutti questi strumenti.

Fino al 2009, anno in cui pubblico il mio primo disco e nasce il progetto “Chris Yan”, in cui decisi di dare un taglio quasi netto a quel che ero stato ( e che avevo fatto ) fino a quel momento. Da lì mi sono concentrato solo ad un approccio più “elettronico” – nel senso ampio del termine musicale – e che da allora è fortunatamente in continua crescita ed evoluzione. Con questo approccio sento di poter esprimere al meglio me stesso e le mie idee.

CaL: Perchè l’esigenza o il piacere di autodedicarti un brano?

CY: Non credo sia stata un’esigenza, perché questo brano non è stato per niente calcolato o pensato. Di fatti è nato un paio di giorni prima che io entrassi in studio per il mix e mastering finale, quindi quando avevo già bel che pronte le otto tracce che avrebbero composto disco.

Questo brano è entrato di prepotenza dopo un sogno davvero molto commovente e delicato, facendomi girare mentalmente quelle note di piano sul quale poi si basa tutta la composizione. Avevo finalmente fatto pace con me stesso e con quella sensazione ‘blasé’ che tratto nel resto dell’album.

Si può di fatti notare che, seppur non ne manchino i richiami, è molto differente e se vogliamo molto più “popolare” ed “ascoltabile” in confronto ai brani usciti fino ad ora e a quello che troverete nel disco.

In questo brano ho ceduto totalmente il passo al sentimentalismo musicale, contrariamente a ciò che prediligo fare nei miei ultimi processi creativi, ovvero un distaccamento dall’emotività, perché ho desiderato trattare il suono semplicemente per quello che è.

In questo brano, una poesia sonora a me stesso, mi concedo un premio. Per chi, con lo sguardo di oggi, si compiace del fatto di aver finalmente superato un periodo poco piacevole e riconosce-vede in sé la propria magnificenza.

CaL: Il supporto visivo, indubbiamente, aiuta molto. Dopo Sehnsucht, I paesaggi di Böcklin ora Eppure, ricordo anche dei fiori sul tuo volto: tematiche affascinanti, ma diverse, come pure le tecniche usate per i video. Ce ne parli?

CY: Sì. Come dici giustamente tu, il supporto visivo aiuta davvero molto. Sopratutto per brani di natura sperimentale e strumentale come questi ed è aderente all’epoca dell’immagine in cui viviamo. In questa epoca, purtroppo, senza un aiuto visivo sono in pochi a soffermarsi sul suono a meno che non sia qualcosa da canticchiare o dar far diventare virale con stupidi balletti.

Allo stesso tempo, posso dirti, che tutto il disco è stato editato e processato pensando alle tracce più come a “paesaggi cinematografici” e trovo che si sposino perfettamente e in maniera naturale ad un accompagnamento visivo.

Per quanto riguarda le tecniche usate nei video usciti fino ad ora, sono tutte legate al tempo e al suo scorrere (timelapse – motionlapse – slowmotion – carrellate di fuoco e fuori fuoco, etc… ).

L’inafferabilità e l’impossibilità di gestire il proprio tempo e il suo scorrere sono anche il tema e sottotema di tutto il disco.

Come già detto, a parte ‘Eppure, ricordo anche dei fiori sul tuo volto’, gli altri due singoli e l’album fanno riferimento ai saggi di Georg Simmel.

In particolare modo all’atteggiamento ‘blasé’ dell’individuo moderno trattato da Simmel in ‘Le metropoli e la vita dello spirito’.

Ma anche come nel caso di “I paesaggi di Böcklin” a ‘Saggi sul paesaggio’ sempre dello stesso autore.

Nell’ultimo singolo, cedendo al sentimentalismo, esula completamente dal pensiero Simmeliano e ad uno stile metodico/di studio di quel che rappresenta un saggio e abbraccia volentieri una visione più poetica. Che ammicca con poche pretese allo stile e alla dialettica delle poesie di John Berger.

CaL: Il tuo mondo spazia tra parole, pittura e una continua ricerca sonora. Cosa nasce prima?

CY: Sicuramente nasce prima la musica e la grande passione che da sempre mi lega ad essa. Ma da molto giovane, grazie alla curiosità, ho sempre trovato e maturato forti stimoli dalla poesia, letteratura, pittura, cinema, fotografia e ogni forma d’arte.

Ed è sempre grazie a questo mio unico e grande pregio dell’essere curioso ( che alle volte si trasforma anche in maledizione) che ho fatto sì che tutti questi stimoli si amalgamassero e concatenassero fra di loro senza alcun limite. Trasformando così le letture di poesie in timidi tentativi di scrittura e poi in sonorizzazione di reading e radiodrammi; l’interesse all’arte visiva in musiche per immagini e proiezioni, estemporanee e performance dal vivo con artisti; e la musica in continua ricerca sul suono in ogni sua forma e sostanza.

CaL: Di che genere definiresti la tua musica?

CY: Un pò perché non mi è mai piaciuto delimitare la mia musica e il mio lavoro in una categoria ben precisa, un pò perché appunto mi occupo di diversi aspetti che includono il suono come mezzo, non sono mai stato capace di darne una definizione chiara e netta.

Fa certamente parte della moltitudine che include in sé la definizione “musica elettronica”, seppur suoni sempre più vasto e poco chiaro.

Senz’altro con un occhio di riguardo alla musica sperimentale e strumentale: come ad esempio alla “Musique Concrète” del primo dopoguerra, fino all’Ambient Music di tempi più recenti.

Questo ultimo disco racchiude tutto il percorso e gli “stili” che ho affrontato nel mio ultimo percorso artistico e produttivo: riprendendo l’ambient dei primi due album e le varie ricerche sul suono maturate nel tempo nelle varie esperienze.

CaL: Quali sono i tuoi programmi futuri?

CY: Prima di tutto sarò impegnato nella promozione per l’uscita del disco, che vedrà la luce il 28 maggio, con la speranza che venga accolto da più persone possibili.

Sto buttando giù le idee per attribuire brevi video clip ad ogni brano del disco, oltre a quelli già esistenti, che verrano pubblicati prima online e non mi dispiacerebbe anche portarli dal vivo sotto forma di performance multimediale di presentazione dell’album, in mirati e adatti contesti.

In un secondo momento mi piacerebbe anche poter ritornare alla mia attività di Field recordist e riprendere così le ricerche e lavori, fermi dal primo lockdowns, sul paesaggio sonoro.

E poi chissà, colmando nuovamente il mio “archivio-memoria sonora” iniziare a pensare di produrre un nuovo album per il prossimo anno.

Una conversazione con Chris Yan | Wall Street International Magazine
Chris Yan

Chiudo questa intervista ringraziando e dicendo a Chris che la sua curiosità, la sua continua sperimentazione sonora, la sua ricerca poetica fanno di lui un artista eclettico e raffinato.

Contatti : https://chrisyanweb.wixsite.com/chrisyanweb

Articolo (2021) per Culturalfemminile

Interviste

BELLE EPOQUE di Emanuele Scataglini

Belle Époque di Emanuele Scataglini

intervista di Giovanna Ferro

Belle Époque progetto musicale e visivo di Emanuele Scataglini, 2021

La Belle Époque è il periodo, in Europa, che si colloca tra la fine dell’ 800 e l’inizio della prima guerra mondiale, ma è soprattutto per la Francia l’ ”Epoca bella” dei “bei tempi”.

Sono gli anni dei cabaret, del “Folies Bergères” e del “Moulin Rouge”,ma anche gli anni dei “fiori del male”, dei Bohémien, dei giocolieri, delle ballerine.

Un periodo storico affascinante, ma al tempo stesso contraddittorio.

“Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell’abisso, Inferno o Cielo, non importa. Giù nell’Ignoto per trovarvi del nuovo.” Charles Baudelaire

In questo fascino e in queste contraddizioni Emanuele Scataglini, compositore, musicista, scrittore, video maker e performer, da sempre studioso di musica e di arti dello spettacolo, ci conduce, col suo ultimo album Belle Époque, nella Parigi di inizio novecento, tra pittori, scrittori, circensi, donne belle e dannate.

Belle Époque è un viaggio sonoro, in cui si amalgamano magistralmente musica, canto, ballo, recitazione e pittura.

Un’Opera Musicale, oserei dire, formata da 12 Atti unici, ognuno dei quali descrive perfettamente, con musiche cucite su misura e ad arte, personaggi, scene, suggestioni ed emozioni che sembra si tocchino.

La dinamica musicale è stilisticamente diversa ed unica per ogni atmosfera ricreata nei quadri sonori.

Il compositore Emanuele Scataglini si lascia affascinare dalla Ville Lumiere , immagina di essere un cittadino di Parigi, assiste alle funamboliche esibizioni del grande giocoliere bergamasco Rastrelli, in un locale di Montmartre, si fa trascinare dai vizi e dalla vita frivola parigina, si innamora della ballerina Sophie.

Dodici sono le tracce musicali: La Canzone della Belle Époque, Je T’aime, Il Giocoliere, Camille Claudel, Il vino e i sogni, Ballata di Parigi, Notte e giorno, Madame Saqui, La Noia, La città che non dorme mai, Bohémien e Sophie.

Alcune di queste sono corredate da video, che sono dei veri e propri cortometraggi, pennellate di colori di artisti immortali come Renoir, Manet, Cézanne, Monet, che nascevano proprio nel periodo della Belle Époque.

La Canzone della Belle Époque https://youtu.be/4Edt_Sln8y

Je T’aime https://youtu.be/ML18oV7O2No

Il Giocoliere https://youtu.be/zDQ8QpbEWjU

Camille Claudel https://youtu.be/8n4MxMbOwSM

Il Vino e i Sogni https://youtu.be/f6E_XLYwchU

Ballata di Parigi https://youtu.be/kfiX1DVYcls

Bohémien https://youtu.be/bYWLg9-GE2w

Sophie https://youtu.be/HVuQ3kEyo2c

 Abbiamo incontrato il poliedrico Emanuele Scataglini:

Cultura al femminile vuole conoscerti attraverso le tue parole: come nasci artisticamente?

Sento da sempre una spinta innata verso le arti. La musica è sempre stata la forma che ho amato di più. Quando ero bambino fui molto colpito dalla forza dell’inizio della Quinta Sinfonia di Beethoven. La ascoltai e per caso stavo guardando alla televisione una scenetta di un mimo che usava questa musica e ne rimasi esterrefatto. Così mi feci comprare una cassetta per il mangianastri da mia mamma proprio con quella sinfonia, ricordo che era di colore rosso. Naturalmente non riuscivo a capire tutta la musica, ma solo quell’inizio portentoso. Da lì in poi, pur nelle diverse forme, la musica non mi ha mai abbandonato.

Nei tuoi album si vive e si respira l’ARTE nella sua interezza: immagini, musica, movimento, recitazione. Perché questa scelta “multidisciplinare”?

Mia madre e mio padre erano grandi appassionati di cinema, ci andavamo tutte le domeniche. Ricordo di aver visto moltissimi film, alcuni anche molto impegnati, naturalmente non mancavano quelli più adatti ad un bambino. Tutto questo mi è rimasto nel sangue e mi sono interessato alle forme d’arte più diverse, alla fine il cinema è sicuramente un’arte molto multidisciplinare. Questo retaggio familiare mi ha portato poi a studiare recitazione e ad analizzare la grammatica della regia. Da qui il passo verso le altre forme espressive è stato breve.

La tua è una vera e propria ricerca musicale, letteraria e teatrale: come nascono le tue opere?

Penso che dipenda dai miei studi di Filosofia. Io ho avuto all’Università un grande insegnante, Giovanni Piana un filosofo straordinario che aveva la capacità di riflettere sulle arti da prospettive diverse. Sono molto curioso e mi piace estendere le mie conoscenze, ma ho anche un forte senso pratico nel senso che se imparo qualcosa la voglio elaborare e farla mia.

Il tuo lavoro precedente, Surreal World, opera surrealista, in cui ogni brano ha la sua storia, ispirato a personaggi, foto, quadri, tradotti in sensazioni sonore, è stato un progetto ambizioso di grande spessore artistico. Con Belle Époque ripercorri un’epoca affascinante, un periodo intenso per la Parigi di allora. Come nasce questo lavoro?

Nasce tutto dai miei studi di arte contemporanea e di storia del circo. Fui molto colpito dal mondo del cabaret della Belle Époque e dalla figura di artisti italiani leggendari come il giocoliere Enrico Rastelli.

I suoi manifesti dell’epoca mi colpirono molto, con il suo costume in stile orientale sembrava una divinità. Poi sono stato invitato dall’Istituto Italiano di Cultura Italiana a Parigi a fare un video concerto nella capitale francese e ho messo insieme un po’ di storie dedicate proprio al periodo della Belle Époque. Alla fine, ci ho lavorato molto, per i testi, la scrittura delle parti, l’uso degli archi, ideare i video. È stato molto bello lavorarci.

Nelle tue musiche si coniugano magnificamente elementi elettronici con quelli acustici. Parti sempre da una base classica?

Di solito ascolto prima un po’ di musica di vari generi che mi scuote emotivamente, poi mi metto a scrivere e mi vengono delle idee, però la base di ogni brano nasce dal pentagramma con un approccio che potremmo definire classico. Infatti, anche se faccio dei brani totalmente elettronici li assemblo pensando ad uno spartito.

Certo ho anche ascoltato ed amato molti generi musicali tra cui l’opera lirica, il Jaz , il Rock e anche l’elettronica. Alla fine, spesso i mie brani sono un “masala”.

Ogni brano di Belle Époque è un vero e proprio quadro, una magica fusione tra musica e teatro, in cui ti sei avvalso dell’interpretazione di tanti giovani artisti. La scelta dei ruoli, affidati ad ognuno di loro, è stata casuale?

Conoscevo già alcuni musicisti, nel senso che ci avevo già suonato o registrato assieme.

Altri li ho contattati per il progetto, perché li avevo sentiti dal vivo e mi sembravano adatti per quel ruolo. La collaborazione con loro è stata molto bella.

Possiamo definire la tua musica “colta”, destinata a un pubblico raffinato e amante delle arti?

Sicuramente sì, anche se secondo me i brani sono anche molto orecchiabili e potrebbero essere ascoltati da tutti, certo magari un po’ di concentrazione ci vuole.

Che difficoltà hai riscontrato lavorando in un anno particolarmente limitante, dovuto alla pandemia?

Molte difficoltà, soprattutto per i video, siamo stati spesso bloccati nelle riprese proprio dalla pandemia, ad esempio, alcuni musicisti non hanno potuto partecipare ai video perché ogni volta che organizzavamo scattava una zona rossa. Quando abbiamo girato il video di Je T’aime alcune parti dei take, a causa di problemi informatici, si sono rovinate. Il giorno dopo eravamo in zona rossa. Per rifarlo abbiamo dovuto aspettare la fine delle limitazioni. Questo però mi ha dato modo di pensare al dettaglio dei video, alla scelta del trucco, delle location e dei costumi: ho reagito creativamente.

Stai già pensando alla prossima Opera Musicale?

Ho un bel po’ di materiale musicale nuovo, ho fatto le chitarre, le percussioni e il basso e scritto le parti per il violino e altri strumenti. Un nuovo disco arriverà presto.

Ora, soprattutto, non vedo l’ora di fare di Belle Époque , uno spettacolo dal vivo.

Ho già contattato una compagnia con cui ho collaborato per uno spettacolo di danza un po’ di anni fa, vorrei farne uno spettacolo che unisca il circo la narrativa e la musica; speriamo arrivi presto il tempo in cui si possa tornare a fare progetti Live.

Se mi permettete invito tutti i lettori a seguire i miei social per le novità.Vorrei anche ringraziarvi di cuore per i tutti gli appezzamenti che avete fatto al mio lavoro.


Noi ringraziamo te Emanuele per averci fatto rivivere il mondo fascinoso della Belle Époque.

EMANUELE SCATAGLINI: Lo straordinario mondo della Belle Époque
Emanuele Scataglini

Emanuele Scataglini, artista eclettico, unisce lo studio teorico alla pratica artistica. Ha lavorato come compositore e sound designer per diversi brand, tra cui Marni, Margiela, Moleskine e Yoox. La sua vocazione è la composizione di colonne sonore per video, performance, spettacoli di danza e installazioni e per questo collabora con diversi artisti visuali e performer. Suona la chitarra, le percussioni ed altri strumenti che ama unire al suono elettronico nella composizione digitale.

Gli artisti che hanno preso parte al Progetto sono: Gabriella Favaro, Simona Daniele, Mitia Maccaferri, Renato Spadari, Marta Pistocchi, Stefano Sergeant, Valentina Sgarbossa, Barbara Rosenberg, Andrea Brunetto, Erica Meucci, Andrea Ferrari, Alice Brizzi e Gabriele Reboni.

Contatti :http://www.scataglini.info

Articolo (2021)per Culturalfemminile

Interviste

THE MOUNTAIN di Marco Mondelli

The Mountain: l'ultimo canto di libertà di Marco Mondelli

The Mountain: l’ultimo canto di libertà di Marco Mondelli

intervista di Giovanna Ferro

Là in basso, la cascata, di mille pieghe screziata,
brilla, come nell’ombra un mantello di raso.”
Victor Hugo

Le mille pieghe screziate, come recita Victor Hugo, sono quelle delle Cascate di Barbiano che fanno da sfondo alle parole e alla musica del cantautore Marco Mondelli.

Il suo nuovo videoclip musicale dal titolo “The Mountain”, uscito il 17 Dicembre 2020, vede protagoniste, appunto, le Cascate che si trovano oltre il paese di Barbiano sopra Ponte Gardena, in Valle Isarco, tra le meravigliose montagne del Trentino fino a raggiungere le rovine del Castel Federer, nella Bassa Atesina.

The Mountain è la testimonianza che in un periodo di difficoltà, di stasi, di disagio in cui si trovava, e ancora versa, il nostro Paese, la musica non si è fermata e darà sempre voce a chi, come Marco Mondelli, ha saputo esprime appieno quello che ognuno di noi avrebbe voluto Urlare, come dice nella sua canzone: voglia di libertà, voglia di ritrovarsi, respirando la propria anima.

Il cantautore ha sempre parlato, nelle sue canzoni, di problematiche attuali, trattandole con sensibilità ed attenzione, come solo il canto può fare.

The Mountain: https://www.youtube.com/watch?v=SVmJYq95OOc

Il fragore dell’acqua fresca e pungente, che si schianta al suolo sulle rocce, non va in conflitto con la voce calda e profonda di Marco Mondelli, arricchita magistralmente dalle risonanze e dai cromatismi della chitarra di Francesco Montanile.

Le loro chitarre si amalgamano, formando un connubio musicale in cui generi diversi si muovono sulle note dello stesso pentagramma, dall’inizio alla fine di The Mountain.

Due amici, due artisti, Marco e Francesco, che grazie alla passione per la musica, e perchè no, per la natura, si sono incontrati, costruendo insieme un percorso artistico di grande spessore.

Culturalfemminile ha incontrato Marco Mondelli:

C: Marco ci parli un po’ di te e della tua storia musicale?

Sono nato a Salerno il 17/12/84 ed ho iniziato a cantare e suonare la chitarra all’età di 15 anni dapprima da autodidatta, poi studiando presso la scuola di musica “Tribal Groove” di Battipaglia dal 2008 al 2010 e successivamente dal Vocal Cotch Marco Colella (decennale corista di Mino Reitano) nel 2011 a San Giorgio del Sannio nel beneventano;

Contemporaneamente agli studi musicali, ho partecipato a diversi master discografici (con Mario Biondi, Mario Rosini, Lighea, Rossana Casale, Lena Biolcati, Gigi D’alessio, Fabrizio Pausini, Franco Fasano, Lisa, Maria Grazia Fontana, Gabriela Scalise, Fabrizio Palma, Charlie Rapino ecc.) e ho partecipato a diversi concorsi canori nazionali, tra i quali il Festival Canoro di Giffoni, Premio Mia Martini, Festival di Paestum, Videolive festival e fra i tanti, in occasione del Dancing and Singing 2010, tenutosi al teatro augusteo di Salerno, sono stato premiato da Rossana Casale e Lena Biolcati, quale vincitore del concorso e miglior brano inedito “Sei Come allora” (brano contro la droga che si può ascoltare sul mio canale youtube).

Dopo diverse esperienze con le band del salernitano, mi sono trasferito ad Avellino, dove ho militato in una cover band locale dei red hot chili peppers, suonando nei locali dell’ irpinia fino al 2011. Nel 2012 presso la B&D Records di Battipaglia, ho prodotto il mio primo album dal titolo “Scorre questa Vita” con 9 brani da me composti entrati in rotazione radiofonica nel circuito “Ear one” e le “100 Radio più belle d’italia” firmando con l’etichetta discografica “Hydra Music” di Roma ; alla realizzazione dell’album hanno collaborato professionisti tra i quali Marco Colella, Carlo Fimiani già chitarrista per Mango e Gino Paoli, Max Vangone batterista per diversi artisti tra i quali Jenny B. e al Master finale del disco, effettuato a Los Angeles, ha lavorato l’ingegnere del suono di fama mondiale Bob Katz al quale in passato sono stati riconosciuti 3 Grammy Awards per miglior album. Dal 2012 trasferitomi a Bolzano, mi sono integrato nella scena musicale altoatesina suonando dapprima con alcune band del posto, per poi proseguire come cantautore con il recente brano Cuori che si Abbracciano” e “The Mountain“, singoli che faranno entrambi parte del mio 2° album di inediti che vedrà luce proprio nel corso di quest’anno.

C: “Cuori che si abbracciano”, scritto in quarantena, è una canzone di speranza e voglia di ricominciare; in “The Mountain”, invece, c’è un’ esplosione di libertà quasi tangibile, è nato in conseguenza a quella che è stata la tua esperienza in solitudine?

Con “The Mountain” ho voluto appunto descrivere l’importanza di allontanarsi dalla frenesia di tutti i giorni, come se perdersi nella natura, potesse servire in qualche modo per ritrovare se stessi, lontano da malvagità umane, instaurando con la Montagna un rapporto intimo con il quale ascoltare in silenzio i propri pensieri, per poi (citando il ritornello) liberarcene urlando, buttando fuori tutte le nostre domande immersi nella meraviglia che ci circonda. Certo, relativamente a questo delicato periodo storico che stiamo vivendo, la voglia di ritrovare questa libertà è tanta e mi auguro presto che tutto possa tornare alla normalità.

C: Le immagini sicuramente sono un valore aggiunto alla tua musica. La scelta di quelle montagne è stata casuale?

Per il videoclip insieme al videomaker Juri Verani e Francesco Montanile (grandissimo amico e compagno di viaggio in questa avventura musicale) abbiamo concordato come location le Cascate di Barbiano, in quanto incarnavano perfettamente la nostra idea di natura, libertà e solitudine, con diverse caratteristiche che volevamo includere come il folto bosco e la cascata, per poi spostarci successivamente alle rovine di Castel Feder sfruttandone gli spazi ampi e la veduta su tutta la valle.

C:In questo brano ti avvali della magistrale interpretazione di Francesco Montanile: due generi diversi i vostri. Ci parli di questa collaborazione?

Ho conosciuto Francesco Montanile circa 7 anni fa’ ascoltando la band degli Skarn, della quale è chitarrista e ne sono rimasto subito affascinato; poi probabilmente complici le origini campane di entrambi, la comune passione per la musica e un sentito rispetto reciproco, ci siamo avvicinati molto anche con le rispettive famiglie, mogli e figli, instaurando un magnifico rapporto. Quasi per gioco, una sera che eravamo a cena, a Francesco è venuta l’idea di fare un brano insieme, io gli ho chiesto: “Su cosa?” e lui, con le idee molto chiare ha risposto: “Sulla montagna!” In realtà non aspettavo altro, il giorno seguente gli ho inviato la demo con testo e musica, una sorta di bozza in bianco e nero che lui ha saputo colorare nel migliore dei modi con i suoi fraseggi di chitarra, integrandosi perfettamente con il mio genere pop rock.

C: C’è un progetto alla base di tutto ciò?

Sia io che Francesco Montanile abbiamo svariati progetti musicali individuali per il futuro, lui sta’ completando il 2°album di colonne sonore, nonchè un nuovo album con la band degli Skarn, ed io sto’ completando il 2°album di inediti autoprodotto, ma aldila’ dei nostri singoli percorsi mi auguro presto di collaborare nuovamente con lui, soprattutto suonando dal vivo, cosa che in questo periodo manca ad entrambi molto.

C: Dopo quest’ultimo originale lavoro, quali sono i tuoi programmi futuri?

Come cantautore cerco di raccontare la realtà che mi circonda, dopotutto l’arte in genere serve proprio a trasmettere agli altri le emozioni che abbiamo dentro;

Nel 1°album “Scorre questa vita“(2012), registrato in studio, avevo trattato il tema della droga, dell’amore, le aspettative di vita in un bambino che sta per nascere, la smania di protagonismo del trash odierno, la fine di una storia d’amore, la corruzione, lo scorrere del tempo e la lontananza.

La sostanziale differenza del mio 2° album, che uscirà proprio quest’anno, è che stavolta non mi sono avvalso di professionisti , turnisti, ingegneri in studi di registrazione, ma il tutto (come è stato per il singolo “The Mountain” suonato, registrato e mixato semplicemente in casa, con da un lato una qualità audio probabilmente inferiore, ma dall’altro un risultato più genuino, reale, senza trucchi o correzioni di Autotune, trattando temi attuali come la voglia di tornare ad abbracciarci, di libertà, l’amore per un figlio, una coppia che torna insieme dopo tanto tempo, la storia di due anziani che ripensano agli anni andati, lasciandosi indietro con orgoglio tutti gli ostacoli superati che è quello che mi auguro faremo nel corso di questo 2021 tutti noi.

The Mountain: l'ultimo canto di libertà di Marco Mondelli
Marco Mondelli

Ringrazio Marco Mondelli e spero che la sua musica le “corde” giuste facendo vibrare l’anima di chi ascolta le sue meravigliose canzoni.

The Mountain

Testo, voce, chitarre ritmiche e tastiere: Marco Mondelli

Arrangiamento Chitarre soliste e Basso Elettrico: Francesco Montanile

Riprese Cascate di Barbiano:Juri Verani

Riprese Castel Feder: Marco Mondelli e Francesco Montanile

Montaggio: Marco Mondelli

Articolo (2020) per Culturalfemminile

Interviste

OLD WALLS di Francesco Montanile

MUSICA. "Old Walls" è il titolo del nuovo video di Francesco Montanile, il  musicista bolzanino di origini irpine. VIDEO - Bassa Irpinia News -  Quotidiano online

Old Walls di Francesco Montanile: quando la musica racconta

intervista di Giovanna Ferro

Tra passato e presente, in un luogo dove il tempo sembra essersi cristallizzato, un luogo in cui si può immaginare l’amore vissuto da Tristano e Isotta o le avventure di Re Artù e i suoi cavalieri, Francesco Montanile gira il suo ultimo videoclip Old Walls, prodotto insieme al videomaker Carmelo Costa.

Siamo tra Bolzano e Gries, su uno spuntone di roccia a picco sul torrente Talvera, dove si erge il Castel Roncolo, chiamato anche “maniero illustrato” perché vanta il più ampio ciclo di affreschi profani di epoca medievale al mondo.

Ed è tra questi affreschi che il musicista e compositore, irpino di nascita e bolzanino di adozione, decide di evocare magicamente, con la sua chitarra, immagini da favola.

Anche per il suo primo album, Inside The Castle, Francesco Montanile ha scelto di ambientare il suo video nei preziosi luoghi dell’ Alto Adige, posti a lui cari. E come dargli torto.

In Old Walls le corde della sua chitarra vibrano creando un’atmosfera irreale; il cigolìo di una porta che si apre provoca un senso di paura, per poi reimmegerti in un mondo sospeso.

Tra il suono e l’ambiente, che lo ospita, si crea una tale alchimia, tanto che le immagini rimandano a tempi antichi, quando alla corte del signore del momento cavalieri e cortigiane cantavano lamor cortese, quando per amore o per potere erano pronti a sfidarsi a duello. Un viaggio nella storia attraverso le note.

Old Walls https://m.youtube.com/watch?t=172s&v=6HBLvPEajVo

Cultura al Femminile ha incontrato Francesco Montanile:

Prima di parlare del tuo videoclip vorrei che mi parlassi un po’ di te e come nasci musicalmente.

Mi chiamo Francesco, 37 anni e sono un musicista di origini irpine, ho iniziato a suonare la batteria all’ età di 14 anni.

Giunto a Bolzano nel 2005, inizio a suonare la chitarra da autodidatta cimentandomi in alcune band, ultima ed ancora attuale band Metal “Skarn” con la quale ho avuto diverse esperienze live anche fuori regione.

Intraprendo un percorso di studio ad indirizzo Jazz, presso l’ Istituto Musicale Vivaldi di Bolzano, concludendo nel 2018.

Attualmente collaboro in diverse formazioni musicali e compongo colonne sonore dalle atmosfere ambient, che fanno da sfondo per video-documentari.

Alcune di queste sono state trasmesse in diverse Tv locali, tra queste anche la Rai Regionale.

Come definisci il tuo genere musicale?

Mi piace spaziare e sperimentare, il mio primo album “Inside The Castle” è un album strumentale fusion, che raccoglie un insieme di generi.

Il secondo, che vorrei ultimare per la fine dell’anno, è interamente improntato sull’ ambient-guitar ma non solo. Trattandosi di musiche di sottofondo raccoglie diverse sonorità, eseguite non solo da chitarra elettrica/acustica ma anche da violini, tastiere,rumori ecc.

Le tue musiche sono ispirate da componimenti scritti, da immagini o ti lasci guidare dallistinto nel momento in cui componi?

In genere traduco il mio sentire in note, in suoni e rumori per raccontare al meglio l’atmosfera che vivo in quel momento e della quale sono attratto.

Cito una frase del grande Ennio Morricone

La musica esige che prima si guardi dentro sé stessi, poi che si esprima quanto elaborato nella partitura e nell’esecuzione”.

Il supporto visivo aiuta molto e l’idea di fare un video con immagini di un castello medioevale dà ancora più vigore alla tua interpretazione. Come è nata l’idea?

Sicuramente, per un musicista ogni situazione è fonte di ispirazione visiva o meno.L’ idea era nata già durante la pubblicazione del primo album per il quale ho utilizzato appunto l’immagine di Castel Roncolo come copertina, volevo utilizzare il brano “Inside The Castle”, ma poi ho pensato che ci voleva qualcosa di più corposo, musicalmente parlando. A quel punto ho deciso di comporre la colonna sonora “Old Walls”, la quale è composta da vari suoni di chitarra acustica ed elettrica, tastiere, violini e rumori di porte che si aprono. Questo per raccontare al meglio l’atmosfera che si vive dentro e fuori le sale del castello, il quale sembra scaturire direttamente da una favola.

Quanto c’è della tua terra di origine e quanto di quella di adozione nella tua musica? Ci sono influenze culturali e stilistiche?

Della mia terra di origine i valori saldi; la famiglia e sicuramente la voglia di mettersi sempre in gioco con determinazione e senza alcun timore. Di quella di adozione l’esperienza musicale fatta negli anni, grazie alle diverse opportunità. Vivo una forte attrazione per la natura e l’ Alto Adige, quando scopro una location suggestiva cerco di immergermi dentro con tutto me stesso e raccontarla in musica. Riguardo alle influenze di stile mi ispiro a diversi compositori, ma quello più significativo per me è sicuramente il compositore e chitarrista sopraffino Bill Frisell.

Dopo quest’ultimo originale lavoro, quali sono i tuoi programmi futuri?

Avrei il piacere di pubblicare il mio secondo album; sicuramente tornare a suonare dal vivo e a realizzare nuovi videoclip in nuovi posti suggestivi che mi attraggono. Sono sempre alla ricerca di nuove modalità per promuovere la mia musica soprattutto in un momento di crisi come questo, nel quale occorre mettere in campo tutte le forze.

Francesco Montanile: dall'irpinia a Bolzano, si racconta
Francesco Montanile

Ringraziamo Francesco per averci fatto sognare con il fiabesco Old Walls

e-mail: francesco.montanile@virgilio.it
facebook : https://www.facebook.com/francymontanile/

Articolo (2020) per Culturalfemminile

Interviste

Donne di nessuno di SCAPESTRO

Donne di Nessuno - di Scapestro a cura di Gianna Ferro
copertina

Donne di Nessuno : la Magia di Scapestro

intervista di Giovanna Ferro

Una vera poesia il nuovo concept di Scapestro “Donne di nessuno”, che segue l’uscita del suo videoclip “Essere di Luce” , del giugno del 2019.

Fulvio Di Nocera, in arte Scapestro, cantautore napoletano, ha debuttato nel 2015 con il primo singolo ”Vado per un po’” con Nut Label e nell’estate 2018 è uscito il suo primo album “Shurhùq” ; a settembre dello stesso anno, in esclusiva per Repubblica TV , esce il nuovo videoclip “Sempre uguale” con la regia di Stefano Cormino.


Ma Scapestro non poteva fare regalo più bello nel giorno della Festa della donna che omaggiarla con il video “Donne di nessuno”, una rivisitazione sonora della canzone del grande Fred Buscaglione, che lo stesso Scapestro definisce “un gangster in bianco e nero ma con un cuore enorme”. Un testo del 1958 e ad accompagnare il video immagini di 60 donne , come 60 sono gli anni passati dalla scomparsa di Buscaglione.

Un testo minimale “Donne di nessuno” con parole semplici, ma allo stesso tempo dolci e struggenti:


“Sei rimasta sola ad aspettare il grande amor

Donna di Nessuno
Per volere troppo sempre no dicesti al cuor
Donna di nessuno
Sola coi tuoi sogni disprezzi la realtà
Ma cerchi il sole nell’oscurità
La felicità ti sei negata in gioventù
Donna di nessuno
Piangi sul passato che non tornerà mai più
Donna di nessuno sei tu
Sola coi tuoi sogni disprezzi la realtà
Ma cerchi il sole nell’oscurità
La felicità ti sei negata in gioventù
Donna di nessuno
Piangi sul passato che non tornerà mai più
Donna di nessuno sei tu “

Queste le parole che hanno catturato la sensibilità di Scapestro intorno alle quali ha costruito una sonorità delicata, quasi sfuggente, melanconica, come la sua tonalità in minore; la chitarra ricorda un po’ il genere reggae; nella parte ritmica, stilizzata, vi è un leggerissimo accenno di percussioni, in cui si percepisce un claps di mani; il violino, che fa da commento alla voce, riecheggia una dolce melodia quasi orientaleggiante e continua in un assolo con una vera e propria improvvisazione che non sconfina, però, in interpretazioni jazzistiche.

Le immagini, che accompagnano la canzone, catturano attimi di mondi interiori e di vita quotidiana di donne semplici, libere e fiere: un sorriso, una lacrima, un gesto, la gioia, la tristezza, la sicurezza, la fragilità, la timidezza, in cui ogni donna, che guarda ed ascolta questo video, può riconoscersi.

Donne di nessuno” è una vera dichiarazione d’amore, un inno alla Donna.

Ma lascio raccontare a lui, Scapestro, la bellezza di questo lavoro.

Mi sono avvicinato alla musica da adolescente, iniziando a suonare e a studiare il basso elettrico. Da lì le prime esperienza live e in studio di registrazione.

Il legame è stato forte da subito, sapevo di voler fare musica nella mia vita. Ho approfondito la mia conoscenza e i miei studi negli anni di Conservatorio dove mi sono dedicato allo studio del Contrabbasso acustico, ma tra i vari linguaggi quello della scrittura è stato sempre presente. Ho dovuto “solo” trovare il coraggio di fare uscire le mie storie dal cassetto; così è nato il personaggio di Scapestro.

Il nostro è un blog al femminile e la tua idea di omaggiare la femminilità ci è tanto piaciuta. Come sei arrivato alla rilettura musicale di “Donne di nessuno”, un classico di Fred Buscaglione?

Ho ascoltato la sua musica , le sue canzoni, ma con “Donna di nessuno” è stato un vero incontro!

L’ho sentita molto vicina alle mie corde, ho risuonato e vibrato insieme a questa canzone che veniva da lontano, la sua eco è diventata subito presente ed è nata una rilettura con un nuovo vestito sonoro.

Credi che con questa rivisitazione tu abbia riscattato anche un po’ l’immagine che si ha di Fred Buscaglione?

Assolutamente si, è uno degli intenti.

Un autore è anche un “attore”. Fred ha creato il suo personaggio, come mi è capitato già di definirlo: “un gangster in bianco e nero ma con un cuore grande”.

Il supporto visivo aiuta molto e l’idea di fare un video con immagini di donne diverse, in situazioni diverse, dà ancora più vigore alla tua interpretazione. Come è nata l’idea?

Come nascono tutte le idee, arrivano come una illuminazione; prima sono solo un immagine sfocata, poi iniziano a prendere forma.

L’idea era un omaggio alla figura femminile con tutta la sua fragilità, ma anche con la sua

determinante forza, la forma per rendere l’idea era riprendere tante donne e in luoghi diversi ma identificati per ciascun volto. Le donne e il loro mondo, raccontato in modo semplice, ma diretto.

Sono donne, musiciste bravissime, quelle che accompagnano i tuoi lavori, i tuoi live. Mi piacerebbe conoscerle attraverso le tue parole e come nasce questa vostra collaborazione.

Ho una super band, sono contento della sinergia creata con le ragazze. Ci sono legami che ci uniscono da tempo e su livelli diversi.

Chiara Carnevale, voci e percussioni, è in questa circostanza anche una parte fondamentale per il videoclip in quanto ha curato la ripresa e il montaggio, Antonella Bianco, chitarre elettriche , Caterina Bianco, violino. Adoro la loro sensibilità musicale, la complicità che va oltre le parole.

Dopo quest’ultimo originale e stupendo lavoro, quali sono i tuoi programmi futuri?

Sto già lavorando assiduamente alla pre-produzione del nuovo disco, che spero trovi luce nel 2021.

Festa della donna, Scapestro rilegge “Donna di nessuno” di Fred Buscaglione  - Il Mattino.it
Fulvio Di Nocera in arte Scapestro

Io te lo auguro Scapestro. Spero che la tua musica possa toccare il cuore e la sensibilità di tutte le persone che ascolteranno le tue canzoni.

Interviste

PROMESSA di CYRANO

Promessa”, l'amore al tempo delle migrazioni, il nuovo singolo di Cyrano

Promessa di CYRANO: l’ultimo gesto d’amore

intervista di GIOVANNA FERRO

Alla ricerca di un futuro migliore, di un paese che non sia in guerra, di un paese che li possa accogliere e consentire una vita dignitosa: questa è la “speranza” che muove migliaia di uomini, donne e bambini ad affrontare un viaggio, senza ritorno, per mare, pagando uomini senza scrupoli per un posto in un barcone.

Non ti resta che aspettare

che io scriva

la mia prossima lettera

giungerà dall’altra parte

del mondo

questa è una Promessa…”

E Promessa è il titolo del nuovo singolo del cantautore catanese Carlo Festa, in arte Cyrano, uscito in streaming e in digital download, prodotto da Jonio Culture, accompagnato da un videoclip realizzato da Luca Condorelli.

Come dice lo stesso Cyrano: Promessa è una canzone che racconta l’amore al tempo delle migrazioni e delle innumerevoli, inaccettabili morti nel Mediterraneo.”

Come si evince dalle prime parole del testo, Cyrano racconta il dramma calandosi nell’animo di chi lo vive: persone con una tragica storia che diventano un numero, “una cosa tra le cose”, come lui stesso le definisce, persone alle quali viene tolta la dignità e l’identità.

Parole di speranza, di amore, di consapevolezza: una umida lettera che non arriverà, un’ultima richiesta di aiuto, un ultimo abbraccio alla vita, un ultimo gesto d’amore.

…Basterebbe un bacio

trasportato dal vento,

per tirarmi su,

vienimi a salvare,

vieni a prosciugare

questo mare immenso

che mi tira giù…”

Una canzone che induce sicuramente a riflettere e a non giudicare. Le parole pungenti, dolorose e di rassegnazione, scritte nel testo, si imprimono nella mente e nel cuore di chi le ascolta, dando una lettura diversa e personale delle vicende che i media passano ogni giorno.

Le immagini del videoclip, che fotografano una triste realtà, fanno da sfondo ad un sound trascinante, incalzante, in cui spesso gli archi fanno da controcanto ad una ricca linea melodica che a tratti diventa malinconica, per dare ancor più rilievo a ciò che si sta raccontando.

Promessa di Cyrano https://www.youtube.com/watch?v=2qCebhrIN3c

Promessa” anticipa l’album atteso per i primi mesi del 2021, “Atto Primo – Il Faro dei Perduti”.

Cyrano, classe ’90, si è avvicina alla musica giovanissimo, la prima canzone la scrive a quindici anni. Ha continuato con la scrittura di brani a sfondo sociale, che hanno ricevuto positivi apprezzamenti. Ha compiuto i primi passi nel mondo della musica inedita nel 2016 con la partecipazione al Tour Music Fest, raggiungendo i quarti di finale. Si esibisce in vari concerti e partecipa a concorsi come l’ArtRockMuseum di Bologna e il Lennon Festival di Belpasso, aggiudicandosi il premio per il miglior testo con il brano “Futuro”, scritto insieme a Giovanni Timpanaro dei Miqrà.

Alla fine dello scorso anno ha pubblicato il suo primo EP “Proemio”.

Culturalfemminile ha incontrato Cyrano:

Cyrano, ovvero Carlo Festa, ci piacerebbe conoscerti meglio. Ci parli di te e di come nasci musicalmente?

Non ho molto da dire su di me.Intendo, personalmente: so che ci si aspetta una storia importante con delle esperienze significative, poste all’estremo confine del presagio mistico, per questo genere di percorso singolare. Ma, la mia, sarebbe la storia normale di un ragazzo che ha imbracciato una chitarra e sta provando a tramutare in versi quello di cui già parlava in maniera disordinata e prolissa. Pertanto, non sono nemmeno certo di essere “nato” musicalmente. D’altronde, la canzone non è un certificato di nascita, credo sia più un fatto empirico: se esisti nel brivido di chi ti ascolta allora, probabilmente, avrai una prova a tuo favore che testimoni la tua esistenza. Nel dubbio, rimetto questa domanda alle orecchie di chi mi ascolta.

Perchè hai scelto di chiamarti Cyrano?

La prima cosa che ovviamente, a buon ragione, sovviene, è una sorta di assonanza familiare dettata dal repertorio di gucciniana memoria. Direi di sì, appunto. Anzi, lo confermo. Aggiungo che l’intento è sempre stato quello di scrivere canzoni che possedessero una dimensione espressiva “pungolante”, come fosse un verso-fioretto. La canzone come lama, il contenuto come ambizione di potenza sferzante.

La tematica delle tue canzoni è prevalentemente a sfondo sociale, in particolare narri di un riscatto da parte di chi non ha riferimenti culturali. Ce ne vuoi parlare?

Io ambisco a parlare la lingua degli orfani di paternità culturale: la grammatica del complesso di Telemaco. Non esiste qualcuno che sia sprovvisto di riferimenti culturali. Non esistono bussole che non puntino da nessuna parte. La direzione indicata potrebbe rivelare la via più insidiosa o un tesoro inatteso, o semplicemente la strada più sbagliata. Pur sempre indicherà un sentiero da percorrere.

Io vorrei allora raccontare il dramma di chi avverte la virata verso il disastro del nostro mondo, privo di validi capitani sui quali contare e di equipaggi all’altezza della missione di coesistenza alla quale siamo chiamati.

Dalla penombra di questo sfondo, fa breccia la necessità di trattare certi temi sociali contenuti nelle mie canzoni.

Quanto c’è della tua terra, la Sicilia, nella tua musica? Ci sono influenze culturali e stilistiche?

Devo essere sincero? Nella maniera più assoluta. Ma non perché ambisca ad un cambio di residenza verso Antenòra; semplicemente non ho mai avvertito la necessità di servirmi di certe misure e altrettanti strumenti nostrani, sia sotto il profilo “poetico” che sotto quello musicale, per esprimere qualsivoglia pensiero o affetto.

Semmai possiamo trovare innumerevoli riferimenti al Mar Mediterraneo, doverosi per esprimere quanto questo nasconda ormai da anni, una necropoli sommersa, ben curata dagli indifferenti del mondo.

“Promessa” è il singolo che anticipa il tuo primo album “Atto Primo – Il Faro dei Perduti”. Hai detto che hai pensato a questo brano come a un racconto politicamente sentimentale: perchè?

Perché tenta di raccontare la dimensione umana, e quindi sentimentale, di un soggetto che, abitualmente e inspiegabilmente, è confinato nella narrativa della cronaca nera della politica. Ciò che si nasconde dietro un fatto politicamente rilevante, è la sfera sentimentale di chi dà vita a determinate circostanze di pubblica attenzione. Persino dietro il movimento farraginoso delle Istituzioni, può nascondersi il miracolo del sentimento, e di questo ne ha parlato ampiamente Pasolini.

In “Promessa” narri l’amore ai tempi delle migrazioni. Senti particolarmente questo tema?

Io non sento particolarmente questo specifico tema: sento particolarmente il tema degli ultimi. E chi sarebbe oggi ultimo, se non tutti coloro ai quali è stata negata non soltanto la dignità dell’identità ma, anche e soprattutto, il riconoscimento della propria umanità?

Chi sono i tuoi compagni di viaggio?

Mi avvalgo di inestimabili professionisti. C’è chi è stato di passaggio, chi invece è rimasto nonostante tutto e chi invece presta il suo talento per occasioni determinate.

Gli archi che potete sentire in ogni mio brano sono suonati da Salvatore Randazzo e Sunah Choi, sia nell’EP uscito a Novembre, “Proemio” che nell’ultimo singolo del quale abbiamo parlato.

Le tastiere, le linee melodiche del fagotto e l’inserimento dei sinth elettronici contenuti in Proemio, appartengono rispettivamente a Mario Guarnera, Gabriele Randazzo e Carlo Longo.

Le suggestive curve suggerite dalla lapsteel in “Promessa”, sono di Gaetano Santagati, con il quale conto di completare l’intero album d’esordio.

Gli inserti elettronici, le atmosfere ambientali, il tappeto pianistico che raccontano lo scenario di “Promessa”, sono state invece arrangiate assieme al Maestro Garofalo, con il quale collaboro per la realizzazione dell’intero progetto discografico.

C’è un progetto alla base di tutto ciò. Ci farebbe piacere conoscerlo.

Come anticipato sopra, l’obiettivo è la realizzazione del mio primo Album: “Atto I – Il Faro dei Perduti.”

Sarà il primo capitolo discografico che rifletterà il tema degli ultimi.

Il faro come paradigma di speranza nel deserto di un oceano; ovvero nell’oscurità sorda dell’indifferenza dei più. Chiunque si senta smarrito, dimenticato, privato di una sua identità naturale, spogliato della sua semplice esistenza, prega l’avvistamento di un faro da scorgere, durante ogni propria quotidiana tempesta, affinché possa orientare verso porti sicuri (metaforici ed espliciti).

Dopo quest’ultimo originale e stupendo lavoro, quali sono i tuoi programmi futuri?

Ribadisco, a parte l’uscita dell’album nei primi mesi del 2021, ho solo sorprese da dichiarare. Una che certamente potrebbe manifestersi nel mese di settembre, chissà…

Le altre sono ancora un mistero per me stesso.

Promessa, una canzone - di Cyrano a cura di Gianna Ferro
Carlo Festa – Cyrano

Grazie Carlo. Mi auguro che i tuoi “misteri” si palesino a noi il prima possibile. Che narrino storie d’amore e di umanità come hai fatto con “Promessa”, scavando un solco nel cuore di chi le ascolta.

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